di Danilo Grasso
Un uomo era entrato in una chiesa. Aveva un coltello in mano. Corse urlando: «È arrivata! È arrivata!». Tutti i presenti lo guardarono esterrefatti, alcuni bisbigliavano tra loro, altri ridevano. L’uomo, con sguardo sereno, si tagliò la gola.
Era una calda giornata di luglio. Il treno si era appena fermato. Nei lunghi viaggi di lavoro avevo sempre respinto l’idea di prendere l’aereo. In treno la mia mente fantasticava, immaginavo una vita diversa dalla solita. Quella mattina avevo letto l’articolo di un suicidio di un uomo in una chiesa. Eventi come quello mi portavano a riflettere sulla vita, preziosa e troppo breve.
Mi sporsi dal finestrino e lo sguardo cadde su una coppia di anziani che si tenevano per mano. Sembravano felici. Il treno riprese la sua corsa, quando notaiun uomo avvicinarsicon passo rapido, estrarre una pistola dalla giacca e spararsi. Subito dopo la coppia fece la stessa cosa. Avevo paura.
Mi tornò in mente quella sensazione di malessere che della notte precedente. Distolsi lo sguardo dal finestrino, cercai intorno a me qualcuno che avesse notato l’accaduto. Nessuno.
Tornai per un attimo ad ammirare le distese di girasoli e papaveri. Presi il cellulare in cerca di notizie, non trovai nulla.
D’un tratto si spense. Pensai si fosse scaricata la batteria, ma mi accorsi che agli altri passeggeri era accaduta la stessa cosa. Ogni apparecchio elettronico aveva smesso di funzionare. Anche il treno arrestò la sua corsa. Il controllore chiese a tutti di scendere. D’un tratto qualcuno urlò che c’era una bomba.
I passeggeri scesero in fretta, spingendo verso le porte d’uscita. Attorno a me delirio, caos. Ruppi il finestrino e aiutai una donna incinta a scendere. Camminammo fino ad arrivare in un paese vicino.
La gente si riversava nelle strade, correndo e urlando. Giovani coppie innamorate vivevano il loro amore. Alcuni litigavano per un oggetto rubato, auto distrutte, negozi saccheggiati. Passammo davanti ad una chiesa e vedemmo una moltitudine di persone che pregava, supplicava e gridava: «Perdonami. Assolvimi dai peccati». Il prete, disperato, chiedeva perdono per quelle false confessioni.
Due di loro ci seguirono spaventati, cercando una via d’uscita, un riparo.
Un autobus si avvicinò e l’autista: «Salite, andiamo via da qui». Ci allontanammo. Arrivammo in un casolare abbandonato.
D’un tratto nel cielo comparve un bagliore accecante. Durò un istante, poi tutto tornò come prima. L’autista accesela radio. In ogni stazione si ascoltava un solo messaggio: «A tutti coloro che sono in ascolto,il bagliore di luce apparso nel cielo era divino.Ha salvato le persone pure e i penitenti sinceri. Chiunque è rimasto sulla Terra è condannato. Questa mattina un uomo, da sempre screditato nella nostra comunità, ha rivelato che il Giorno del Giudizio è arrivato. Nessuno gli ha creduto e ora…». In un funesto silenzio, guardai gli altri, disperati. Il vescovo continuò: «Pregate, chiedete perdono. Vivete l’ultimo istante senza rimpianti».
La radio si spense. L’autista tentò di rimettere in moto l’autobus senza riuscirci. Nell’angosciante attesa, ognuno di noi, a turno, si confessò. Ripensai alla coppia di anziani. Ora capivo quel gesto che mi aveva lasciato incredulo. Erano morti, insieme, tenendosi per mano.
Toccava a me confessarmi. Osservai il cielo, poi guardando ognuno dei presenti: «Mi chiamo Anastasio, cioè resurrezione; ora che ci penso, è tragicamente ironico. La piccola fenice. È così che mi chiamava la mia famiglia. Ho commesso tanti errori nella vita, ho rimpianti, come tutti. Il più grande di tutti è quello di non essermi sposato, di non aver trovato una persona con cui condividere mia vita. Sono solo».
Il cielo si oscurò, la terra iniziò a tremare. La fine era giunta. Un lampo di luce aprì il cielo. Mi sentii sollevare. Guardai verso il basso e vidi ogni cosa diventare sempre più piccola. Di colpo una luce forte ma accogliente mi travolse il viso. Ero felice. Mi sentivo rinato.
All’improvviso sentii delle voci lontane che a poco a poco si fecero sempre più nitide. Erano i miei compagni di corso che mi stavano richiamando all’attenzione. Una possente figura si avvicinò con passi pesanti, urlando: «Se non è interessato alla lezione e preferisce dormire, la prego di uscire dalla mia aula!». Le parole del professore diventarono impercettibili sussurri. Ripensai al viaggio in treno e ora questo. In quel momento capii le parole del mio editore: «Se vuoi diventare uno scrittore cerca di preferire sempre l’illusione alla disperazione».