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Golfo Mistico

In Golfo Mistico

Call for Paper – sezione “Golfo Mistico”

titolo: Teatro di narrazione: scritture, monologhi e performer

Come è noto, il monologo teatrale spezza l’azione, ne altera la continuità spazio-temporale, rimodulando l’intero impianto drammaturgico della piéce: una sorta di “fermo-storia”, di arresto del flusso narrativo della vicenda, che rinfocola l’azione del dramma. Il monologo nasce come “soliloquio” e diventa più propriamente “monologo” quando il personaggio parla ad altri o addirittura al pubblico, solo sulla scena. Ed è, quindi, un fattore pienamente autonomo, come i corifei e gli aedi della tragedia classica. Il monologo impegna vocalmente e fisicamente un attore. Non a caso, grandi interpreti lo hanno magnificato, elevandolo a spettacolo completo in versioni davvero sontuose, con l’ausilio di ricordi personali, di divagazioni extra-testuali, di canzoni, di pantomime. Basti pensare alle performance di Vittorio Gassman (Camper), di Carmelo Bene (Pinocchio), di Gigi Proietti nel celebre A me gli occhi, please di Roberto Lerici. E nel monologo (o col monologo) si sono impegnati negli ultimi anni moltissimi attori e attrici: alcuni di prestigio, altri di rincalzo o per imitazione. Sia gli uni che gli altri hanno inaugurato quella stagione di interpreti monologanti che ha contraddistinto i cosiddetti One-Man Show, dal “Teatro Canzone” di Giorgio Gaber agli spettacoli di Arturo Brachetti; da Fo a Rossi, fino al Benigni lettore della Commedia (interpretazione senza scrittura), senza trascurare l’aria operistica o specifiche canzoni in musical o esempi oltremanica come Neil LaBute. Anche le attrici si sono confrontate con il monologo, portando sulla scena scrittrici di inarrivabile spessore, come Anna Maria Ortese, Natalia Ginzburg, Elsa Morante, o testi come I monologhi della vagina del 1996 della scrittrice newyorchese Eve Ensler, portati sulla scena in Italia, fra le altre, da Marina Confalone, Claudia Gerini, Anna Bonaiuto e, in giro per il mondo anglo-sassone, da Susan Sarandon, Whoopi Goldberg, Glenn Close.A partire dalla metà degli anni ottanta del Novecento, il teatro di narrazione si rifà alla presenza di un attore, generalmente solista, che con la voce e la gestualità racconta per lo più storie di impegno civile, le tragedie che hanno sconvolto il Bel Paese a partire dal dopoguerra, come la tragedia del Vajont, l’omicidio di Aldo Moro, la strage di Ustica: sorge una nuova gamma di performer che attinge dal giornalismo: Paolini, Celestini, Travaglio…

Si accettano contributi di taglio critico militante sul teatro di narrazione degli ultimi anni, di lunghezza compresa tra le 10000 alle 20000 battute, con citazione interna al testo “autore-data” (nota “all’americana”) e un elenco dei testi riportato in coda all’articolo/saggio.

Gli interessati sono pregati di inviare il prima possibile una proposta di contributo con le indicazioni di argomento e abstract (70 parole max) + breve curriculum biografico ai seguenti indirizzi:

vitosantoro@live.it

antonio.daniele@unifg.it

letterazero.nuovaserie@gmail.com

Le proposte pervenute saranno valutate dal Comitato di Redazione che ne comunicherà agli interessati l’eventuale accoglimento.

In Golfo Mistico/ Grado Zero

La prassi della ri-scrittura monologica di Martin Lewton, tra identità, corpo e hidden stories

di Armando Rotondi

Martin Lewton è uno dei più interessati story-teller indipendenti in lingua inglese: autore, drammaturgo, regista, performer. Difficile identificare la sua produzione recente – prevalentemente solo performance e monologhi di cui è autore e interprete – attraverso i parametri del teatro tradizionale. Labili sono infatti i confini, nella sua produzione e nel suo repertorio, con la performance e la live art. Direttore artistico del Theatre North, Lewton lavora su tematiche precise, intrecciate anche con la sua storia personale, che lo pongono come un artista di grande rilievo all’interno delle arti performative LGTBQ e Queer. Attraverso monologhi come Cock, Naked Homo, Code of Conduct o Queer Bodies, Lewton ragiona e si interroga sull’identità di essere gay e sulla propria identità, investigando non solo l’intimo e l’emozionale, ma anche l’esteriore: un lavoro che di volta in volta chiama in causa il corpo e la corporalità, finanche il vestiario, il comportamento e l’interazione sociale (come nel caso del testo – non monologico o solo performance ma per più attori – Scream Queer Murder, dedicato ai personaggi gay dei romanzi di Agatha Christie e scritto in polari). La sua produzione si focalizza inoltre sul concetto – espresso dallo stesso Lewton in alcune interviste rilasciate recentemente all’autore – di hidden stories, ovvero quelle storie nascoste, ampliando, in questo senso, la nozione stessa di sottotesto teatrale non solo a situazioni o dialoghi ma agli stessi personaggi.

         Interessanti, da questo punto di vista, la produzione di Lewton che può essere definita come “testi di ri-scrittura”, in cui l’autore e artista britannico dialoga con alcuni grandi personaggi della tradizione letteraria. Il primo lavoro che possiamo prendere in considerazione è Mirando The Gay Tempest, presentato per la prima volta in occasione del Brighton Fringe Festival con la regia di Andrew McKinnon. Lewton realizza qui un’opera molto intrigante di adattamento su più livelli: in primo luogo, la riduzione de La Tempesta in un testo e in uno spettacolo di appena un’ora, interpretando tutti i personaggi shakespeariani, in modo concettualmente non dissimile all’interpretazione quasi totale di Eduardo De Filippo (che lasciò da parte il solo ruolo di Miranda). Al di là della prassi di adattamento, è interessante notare la resa queer dello spettacolo, con il testo completamento abitato da personaggi omosessuali e la trasformazione, ad esempio, di Miranda in Mirando. Il lavoro di Lewton si presta quindi a una possibile lettura che chiama in causa il concetto di performatività di Butler, di camp culture di Sontag e della “gay sensitivity” di Jack Babuscio: è infatti allo stesso tempo uno spettacolo serio ma anche ironico, fedele e “rivoltoso” nei confronti dell’originale shakespeariano che è affrontato con assoluta distanza critica. Mirando The Gay Tempest pone anche l’accento su un ulteriore elemento chiave della produzione di Lewton: la presenza della nudità, in particolare la nudità completa del corpo dell’interprete. Nello specifico di Mirando The Gay Tempest, Lewton recita nudo ricoperto da uno spray color argento, con nessun particolare oggetto di scena. La nudità rappresenta una nota chiave forte, già presente negli spettacoli citati in precedenza, che non per forza di cosa è una nudità che vuole shockare. Vi è infatti molta eleganza e nulla di volgare né di gratuito se contestualizzato all’interno di questa investigazione dell’identità che passa necessariamente anche per il corpo e l’embodiment.

Altro spettacolo di riscrittura è Billy Bud Sailor, vero capolavoro di story-telling dal romanzo di Herman Melville. Qui è ben visibile l’elemento della hidden story. Se Billy Budd Sailor di Melville è un’opera maestra che problematizza il rapporto tra verità e finzione, Lewton scava all’intero del personaggio protagonista indagando sulla sua identità nascosta. Il testo e lo spettacolo, tuttavia, evidenziano anche un altro aspetto che è ricorrente nel repertorio di Lewton: l’interesse per la messa in scena non convenzionale. Billy Bud Sailor vede, infatti, in scena un solo performer all’interno di una vasca da bagno posta su un palcoscenico o in una black box o in una vasca da bagno vera in un bagno vero – quindi per un numero limitato, in questo caso, di spettatori, come nell’occasione in cui chi scrive ha potuto assistere alla performance da solo nel bagno dello stesso Lewton durante il Barcelona Solo Festival. L’artista interpreta il fitto monologo, mentre è intento a lavarsi, creando così un cortocircuito tra personaggio di Billy Bud e interprete, tra testo e azione, tra piani diversi di performance che si intersecano in una prova attoriale di grande difficoltà.          Realizzato in occasione dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri, attraverso una collaborazione internazionale che vede protagonisti le britanniche Theatre North e Birckbeck University of London con i Musei civici di Sitges (Spagna), Circles of Hell è l’ultimo lavoro di ri-scrittura del drammaturgo e interprete: un monologo che si pone allo stesso tempo in piena coerenza con la precedente produzione e come una novità dall’alto tasso sperimentale del suo repertorio. Andato in scena il 17 e 18 maggio 2021 – quindi non solo in occasione dell’anno dantesco, ma anche in concomitanza con la Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia, la transfobia e la Giornata Internazionale dei Musei, Circles of Hell è una reinvenzione site-specific disegnata per la Sala d’Oro del Palau Maricel di Sitges dell’Inferno dantesco, attraverso la mediazione visiva di Salvador Dalì e delle sue illustrazioni per il poema di Dante. Anche in questo caso, vi si ritrova l’indagine sull’identità – e non a caso Lewton ci accompagna nell’Inferno sia come sé stesso sia come personaggio-peccatore del sodomista –, il lavoro sulle storie nascoste e sull’adattamento e riscrittura, la presenza della nudità. Tuttavia, nella messa in scena vi è anche una forte discrepanza rispetto alle opere precedenti: vi è un elemento disturbante maggiore, che si sviluppa attraverso l’utilizzo di tre lingue nel corso dello spettacolo (inglese, castigliano e catalano, pur se queste due con una dizione e pronuncia non perfetta) che producono, a tratti, una intrigante e intelligente cacofonia, ritrovandosi così quasi dalle parti di un “Teatro della crudeltà” di artaudiana memoria.