a cura di Umberto Mentana
Come si scrive una grande storia è una scuola di scrittura creativa basata sulla solidarietà fondata dallo scrittore e sceneggiatore romano Francesco Trento che nel 2020 decide di spostare online e che offre settimanalmente lezioni gratuite in cambio di volontariato. Ad oggi gli introiti per le numerose associazioni coinvolte dalla scuola ha generato donazioni per oltre 115.000 euro (https://francescotrento.it/).
All’interno del ricchissimo programma di seminari, a partire da Novembre 2022, viene presentato il format Scrivere le serie TV, curato da Marina Pierri (autrice, critica televisiva e direttrice artistica del FeST – Il Festival delle Serie TV di Milano) e Mary Stella Brugati, sceneggiatrice. Tra i numerosi incontri con le personalità più importanti della serialità televisiva italiana (https://francescotrento.it/blog/corso/moduli/scrivere-le-serie-tv/) venerdì 17 Marzo 2023 si è svolto tramite la piattaforma Zoom l’incontro con Cristiana Farina, headwriter e ideatrice di Mare Fuori (Rai 2020 – in produzione), lo show che soprattutto in questi ultimi mesi è diventato un vero e proprio fenomeno di massa, è sulla bocca di tutte e tutti, e non solo tra gli adolescenti. Quello che segue è il resoconto dell’incontro con Cristiana Farina, a cui ho partecipato personalmente.
Cristiana Farina Le aspettative sono state più che superate, è stato uno tsunami più che un Mare Fuori. Questa è una storia che mi porto dietro da tanti anni, dalla prima volta che sono entrata nel carcere minorile di Nisida (Napoli), sono passati vent’anni da allora ed è stato amore a prima vista.
Io ero lì perché fui chiamata per un seminario e avevo ovviamente un immaginario molto distante da quello che poi in realtà ho scoperto; i ragazzi che erano detenuti scontavano dei reati molto gravi, anche feroci, e quindi mi aspettavo di trovare più degli uomini che dei ragazzi. In realtà poi mi sono confrontata con dei ragazzi, con degli adolescenti che ancora cercavano un’approvazione da parte degli adulti, da chi è un riferimento per loro a quell’età.
Quindi Mare Fuori è stato un progetto fin dall’inizio pieno d’amore, perché era come se quella dimensione della detenzione fosse davvero un’occasione per aprire una finestra che non avevano mai aperto. Ed erano curiosi, erano instabili, come tutti i ragazzi a quell’età, e dunque quest’alternanza di sentimenti forti ed opposti, espressi anche in maniera così violenta è arrivata con tutta la sua forza.
L’immagine che ho avuto entrando all’IPM (Istituti Penali per Minorenni, ndr) di Nisida per la prima volta fu durante un saggio, c’era un saggio teatrale. Quella di Nisida è una location particolarmente bella, si trova sulla cima di questa penisola, appunto Nisida, e si affaccia sul Golfo di Napoli. C’è tutta una salita, che una volta che si chiude il cancello, passa attraverso diversi edifici e io ero in cima alla salita insieme ad un pubblico perché stava avvenire quest’happening messo su da una compagnia teatrale e vedo arrivare due ragazze altissime, vestite di celeste, erano su dei trampoli. Fu una visione quasi angelica, queste due figure altissime che passeggiavano sopra le nostre teste. Erano due ragazze bellissime: una era quella che oggi è diventata nella serie Viola e l’altra era quella che è diventata Naditza, una zingara e una ragazza psicopatica, fondamentalmente. Lei aveva realmente un problema mentale.
Uno dei problemi dell’IPM è proprio questo, molto spesso ci finiscono ragazzi minorenni con problemi psichiatrici. Ora però finalmente si parla di reati minorili, di salute mentale proprio cavalcando l’onda di Mare Fuori, anche le notizie sul Beccaria, ad esempio. Prima le evasioni sono sempre accadute nel minorile perché il minorile non è un istituto di massima sicurezza, è un istituto detentivo ma i ragazzi escono con il permesso, non stanno chiusi nelle celle con un’ora d’aria al giorno. Stanno sempre in cortile quindi volendo riescono a scappare, e difatti succede soprattutto durante i permessi che capita che non rientrano. Ma nessuno non se ne è mai occupato del problema a livello nazionale, sulle prime pagine dei giornali, invece adesso l’attenzione comincia ad esserci. Il passo successivo, spero, che ci sia qualcuno che si preoccupi di creare un link tra il dentro e il fuori perché pur se lì dentro ci siano persone per quanto illuminate, capaci a recuperare quei ragazzi o comunque a dar loro un punto di vista diverso sul mondo, una volta però che valicano quel portone non c’è più nessuno, non c’è un pensiero, un progetto che possa accompagnarli anche fuori. Alla fine vengono riconsegnati al territorio, alle loro famiglie che spesso sono il problema di partenza e quindi non c’è nessun progetto di recupero e questo dispiace.
Il successo di Mare Fuori ci fa ovviamente sentire ancor più responsabili perché se uno scrive una cosa tanto per riempire la pagina e trovare un momento di svolta che possa agganciare lo spettatore è un discorso, ora invece tanti giovani veramente lo stanno considerando qualcosa di grande, ed è decisamente una cosa diversa. Persone che ti scrivono cose del tipo: “Mi ha salvato la vita”, ti accorgi quindi che c’è proprio bisogno di una guida. Mare Fuori ha acquisito, volente o nolente, questo ruolo di faro, di faro nel buio. E di conseguenza bisogna essere molto responsabili perché la presa è tanta e nel nostro piccolo dobbiamo cercare anche eticamente di essere corretti e di attribuirgli un valore effettivamente positivo che possa dare speranza, perché il messaggio credo abbia in qualche modo perforato il tessuto degli adolescenti che molto spesso sono in difesa, hanno una barriera protettiva rispetto al mondo degli adulti, soprattutto. Mare Fuori è riuscito a sfondare questa barriera perché ha dato a tutti una possibilità di speranza. Anche dietro lo sbaglio più grave c’è la possibilità di una nuova vita se si guarda nella direzione giusta, se si affronta con responsabilità la propria responsabilità, perché non voglio parlare di colpa, e se si capisce quanto si è responsabili di quello che si è fatto poi si può tranquillamente ricominciare se c’è qualcuno che non ti giudica ma ti tende la mano e cerca di tirare fuori il bello che c’è in te.
Per tutta questa serie di motivi, quindi, tutte queste storie in qualche modo sono rientrate dentro Mare Fuori proprio perché partivano da realtà non universali ma sicuramente molto più larghe di quello che si pensi. La cosa di cui mi sono appassionata particolarmente è la possibilità di recupero effettiva che c’è all’interno dell’IPM, una possibilità di recupero però che è molto delegata all’iniziativa personale di chi ci lavora.
La genesi di Mare Fuori: gli step di scrittura della serie
Cristiana Farina È iniziato tutto quanto con questa presentazione alla Rai del progetto, un conceptdi dieci pagine e a loro è interessata molto l’idea dopodiché per lavorarci mi sono affiancata a Maurizio Careddu, con lui abbiamo strutturato diversi soggetti di serie e dalla seconda stagione facciamo anche insieme gli headwriters, perché è un lavoro decisamente impegnativo. Abbiamo fatto tantissima ricerca, siamo andati tante volte a Nisida, abbiamo conosciuto molteplici realtà locali che organizzano attività per i detenuti anche all’esterno del carcere, come la “Pizzeria dell’Impossibile”: si tratta di un’associazione che praticamente si occupa di insegnare ai ragazzi di Nisida ma anche di altre comunità, di Airola e di altri istituti campani, di fare la pizza. E in questa pizzeria, che sta ai Decumani, proprio al centro di Napoli, loro offrono la pizza a chi non può pagarla. Si può andare lì, prendere una pizza e una Fanta senza pagare, e questo succede a pranzo tre, quattro volte a settimana e i ragazzi imparano un mestiere, fondamentalmente. Ho conosciuto lì tanti ragazzi e ho avuto modo di parlare con loro in maniera libera, forse anche più libera che all’interno dell’istituto. Da tutti questi racconti, io e Maurizio abbiamo raccolto molte idee e anche molti modi di pensare che sono poi naturalmente confluiti dentro Mare Fuori.
Con Maurizio, quindi, abbiamo fatto prima il soggetto di serie, dopodiché ci dividiamo i soggetti di puntata e sviluppiamo un soggetto io e un soggetto lui, poi lui passa a me quello che ha fatto lui e viceversa, ci scambiamo, ci rimpalliamo continuamente il lavoro e, una volta scritti, i dodici soggetti vengono spediti alla produzione della Rai che ci dà il feedback in base a quello che a livello produttivo si può ottimizzare piuttosto che a livello di contenuto migliorare; abbiamo un referente, un capostruttura Rai che si chiama Michele Zatta il quale anche lui si è calato in questo progetto con tutto se stesso e quindi insieme si fa un vero e proprio lavoro di gruppo. Poi, dopo i soggetti si passa alle scalette, che scriviamo sempre io e Maurizio, dove le nostre scalette sono in realtà dei trattamenti, noi scriviamo scena per scena e consegniamo scalette di trenta pagine per un episodio da 50’, quindi sono molto dettagliate. Successivamente io e Maurizio scriviamo quattro sceneggiature ciascuno e quattro di anno in anno vengono assegnate a diversi sceneggiatori. Dal primo anno c’è Luca Monesi, per le altre invece ogni anno sperimentiamo qualcuno di diverso. Poi ritorna tutto a noi e rileggiamo tutto io e Maurizio e diamo una continuità finale. È un lavoro a step: soggetto di serie, soggetti di puntata, scaletta di puntata e sceneggiatura, e poi c’è l’edizione finale. Per fare un esempio attuale, ad oggi siamo in fase di sceneggiatura ed entro metà Aprile dovremmo consegnare tutto per poter poi iniziare a girare a metà Maggio.
La genesi di Mare Fuori: il cast
Cristiana Farina Il merito di questo cast è innanzitutto del primo regista, perché i registi si sono alternati mentre noi siamo rimasti sempre. Il primo regista, Carmine Elia ha fatto un lavoro di casting insieme a Marita D’Elia (casting director, ndr)straordinario. Marita ha fatto un lavoro di cast incredibile perché è riuscita in ogni caso, anche essendo ragazzi molto giovani, a trovare dei professionisti. Non ci sono improvvisati tra di loro: sono tutti giovani attori e che comunque c’è chi ha fatto il Centro Sperimentale, chi aveva già fatto qualche film, chi veniva dal teatro, chi da una famiglia di teatranti, avevano tutti già studiato e sono tutte persone molto preparate e anche intellettualmente molto sensibili e argute rispetto alle tematiche trattate.
Io a volte rimango molto affascinata dall’ascoltarli perché dicono cose che travalicano e che superano anche le intenzione delle parole scritte. Fanno delle analisi sui loro personaggi che lasciano veramente a bocca aperta me per prima, che ho scritto il personaggio. E questa è una ricchezza aggiunta sicuramente all’idea originale innegabile ed è una sorta di alchimia fortunata quella di Mare Fuori, perché questi ragazzi tra di loro poi hanno sviluppato anche un’amicizia, una collaborazione, sono diventati proprio una famiglia. E tutta questa passione, tutto questo amore, tutta quest’anima alla fine ha dato corpo a qualcosa di unico.
Nella serie, poi, naturalmente ci sono anche personaggi, come quello di Carolina Crescentini, che poi avvertono l’esigenza di uscire da quel ruolo, è una serie lunga perciò magari un attore ad un certo punto ha altri interessi e altre proposte e dunque dobbiamo trovare un modo per farli uscire, è un mix di tutto questo e non dipende perciò solo da noi, da semplici scelte narrative. Penso anche ai personaggi di Filippo (Nicolas Maupas) e Naditza (Valentina Romani) che poi hanno avuto altre proposte e hanno pensato che il loro contributo a Mare Fuori fosse terminato, ed è rispettabile alla loro età perché chiudersi in un ruolo può cominciare a diventare stretto.
La genesi di Mare Fuori: i riferimenti
Cristiana Farina Le storie in sé presenti in Mare Fuori non provengono guardando altri prodotti ma la struttura e il genere ovviamente sì: Orange is the New Black, Oz, Vis-a-vis, io ho sempre avuto il pallino del carcere. È un luogo che evidentemente da bambina mi porto dietro. La Rai, ricordo, faceva dei film la mattina tipo di Sabato o di Domenica e io li guardavo tutti e tra questi c’era Sciuscià di De Sica che mi colpì proprio al cuore, perché forse la libertà negata su un bambino era per me l’innocenza violata per antonomasia. Ed è una cosa che mi ha sempre colpito nel profondo proprio perché mi spaventava e in qualche modo la indagavo. E sicuramente il carcere è sempre stato un ambito che mi ha affascinato, quindi me le sono viste tutte quelle serie, dalla prima ora. Detto questo, poi si tratta di serie corali e anche questo è ricorrente in Mare Fuori, però le storie, come dicevo, si sono sviluppate molto autonomamente, anche a livello strutturale, come l’idea dei flashback, dei personaggi, perché noi del reato fondamentalmente non parliamo mai, ne parliamo solo nel flashback dove questi hanno sempre un intento salvifico, cioè cercano in qualche modo di far capire cosa c’è dietro quel reato, e ti fa chiudere alla fine il cerchio su quel dato personaggio che fino a quel momento non avevi ancora inquadrato perfettamente o lo avevi inquadrato in un’altra direzione.
Un’altra considerazione che non è solita come abitudine seriale è quella di compiere gli archi narrativi, cioè noi abbiamo come regola la seguente: abbiamo chi sbaglia e decide di sbagliare e fa una scelta, compie una scelta e quindi non ha nessuna possibilità di recupero perché non si responsabilizza e per noi chi ha scelto di essere un criminale è già un adulto, non è più un ragazzo ed è una persona che con questa scelta è già al di fuori del nostro raggio. E a quel punto se continui a perpetuare il male non c’è possibilità di salvezza, per cui un Ciro Ricci muore. Se invece c’è qualcosa dentro di te che si è acceso, allora ci lavoriamo e continuiamo su questa direzione. E ci sono stati anche addii, tipo quello di Viola (Serena de Ferrari) che soltanto sul finale noi capiamo chi era e perché. Fino a quel momento era odiatissima Viola perché era un personaggio psicopatico che aveva ucciso senza un motivo comprensibile e che continuava a comportarsi in maniera provocatoria verso tutte e tutti e non provava empatia e, di conseguenza, era un personaggio respingente. Ma io Viola l’ho sempre amata perché l’ho conosciuta e so da dove proveniva quella mancanza di empatia, non perché conoscessi la sua storia ma perché conoscevo lei e quindi avevo accettato questa sua diversità in qualche modo. E proprio perché c’era una diversità diventava per me fonte di interesse, perché tutto quello che non capisco mi appassiona molto di più di quello che invece già conosco. E il finale di Viola per quanto sia straziante è anche in un certo senso rivelatore, proprio in quel momento infatti lei prende coscienza di chi è e che cosa ha fatto.
La serie è iniziata al maschile perché le storie di entrata sono quelle di Carmine (Massimiliano Caiazzo) e Filippo e, di conseguenza, con loro e con la loro amicizia speculare, entriamo dentro l’IPM e parliamo più che altro al maschile perché loro sono al maschile. Le ragazze sono personaggi sì interessanti ma solo sullo sfondo, diciamo che nella prima stagione sicuramente emerge Naditza. Lei è un vero portento sia come attrice che come personaggio, rompe proprio le righe con la sua vitalità eccessiva che fa saltare tutti gli schemi. Nella prima stagione, dunque, i personaggi femminili erano presenti ma sicuramente le storie portanti erano quelle del maschile.
Il momento in cui Ciro (Giacomo Giorgio) viene a mancare si avverte la sua mancanza, la proviamo anche noi proprio perché era un antagonista meraviglioso ma noi tuttavia non volevamo fare una storia incentrata soltanto sull’antagonismo e sulle forze camorriste, per cui quando Ciro viene a mancare ci siamo detti: che cosa c’è di meglio se non ricalcare un archetipo che conosciamo tutti, come è quello di Romeo e Giulietta? E perciò abbiamo i Di Salvo contro i Ricci e quindi arriva Rosa (Maria Esposito) che si innamora del Di Salvo, anzi viceversa, è lui che prima ancor di lei mostra interesse perché l’intento di Carmine, molto più consapevole da sempre, è quello di disinnescare questa lotta, questa guerra, questo odio, questa violenza con cui è cresciuto ed è l’origine di tutti i mali. Per cui dice: l’amore è sicuramente la cosa che potrebbe far finire tutto questo, e ci prova disperatamente.
La genesi di Mare Fuori: i processi produttivi e l’importanza dello showrunner
Cristiana Farina Io non faccio differenze tra serie e fiction, essendo che poi la fiction si basa su diversi generi e sottogeneri che possiamo poi chiamare soap, drama, comedy, comedy-drama, avventura però di fatto sempre di fiction si tratta. Nel senso che nel momento in cui fai recitare qualcuno e scrivi un testo da far recitare diventa una fiction, non è che può essere un’altra cosa. Altro discorso è una docuserie, lì prendi dei ragazzi magari in base a degli archetipi e li metti in una stanza e li fai interagire tra di loro senza uno script di riferimento.
Per quanto riguarda le serie italiane, in particolare, c’è molto da dire secondo me perché in Italia la vera serialità è trattata in maniera diversa da come si produce nei Paesi che ne hanno fatto un mercato anche redditizio, come negli Stati Uniti, lì è di carattere industriale in qualche modo. Anche quando è autoriale ha dei sistemi di preparazione, produzione e postproduzione che sono dettati da un calendario che rende tutto verificabile e ciascun momento è imputabile ad un ruolo preciso. Un ruolo preciso che ha un compito in un tempo preciso. Qui in Italia, invece, è diverso, nel senso che sembra che ancora oggi si producano le fiction, e quindi le serie TV, con le modalità e un piano di produzione di stampo cinematografico, non seriale. E su questo ci scontriamo anche noi autori perché anche nel caso di Mare Fuori, una serie di cui siamo ovviamente tutti orgogliosi, però di fatto per noi autori a volte è frustrante poiché nel momento in cui tu interrompi la comunicazione perché appunto la produzione non ha questo tipo di impostazione, ed interrompi la comunicazione tra scrittura e regia, tra regia e montaggio, crei un danno perché la continuità di una serie non ce l’ha in mano il regista che non l’ha scritta, non ce l’ha in mano l’attore che improvvisa. Possono avere un ruolo autoriale tutte queste figure ma si deve avere un controllo editoriale dal minuto uno alla fine. Perché infatti esiste in America la figura dello showrunner, del producer creativo, in generale del creatore della serie che è presente in tutti gli step di produzione perché deve controllare la continuità, l’anima. In qualche modo è il termometro della serie, proprio perché ha più stagioni e non è scritta dall’inizio per più stagioni, la direzione la deve avere una persona. E comunque la deve avere la scrittura, perché la scrittura è quel processo che guarda più lontano. Poi l’approfondimento lo può avere in mano in regista, lo può avere in mano l’attore perché magari l’approfondimento del personaggio sicuramente non si può pensare che non sia delegato all’attore, perché l’attore ha una visione solo del suo personaggio e può andare solo che a fondo rispetto alla scrittura, però tutto questo deve essere verificato e valutato da chi ha in mano la scrittura della serie.
E questo non è semplice da attuare in Italia, non è semplice affatto. Io ho avuto fortuna perché in Amiche mie (2008, ndr), un’altra serie che ho fatto ho avuto questo specifico ruolo, in Mare Fuori invece non è stato così, però di fatto tra una cosa e l’altra alla fine siamo riusciti anche con il montaggio a rimettere a pari un po’ di pasticci che erano accaduti durante la fase di registrazione rispetto a quello che era stato scritto. È tutto un po’ più pasticciato, meno codificato. Io ho lavorato con gli inglesi, con gli americani, con gli australiani e non c’è questo margine di sbaglio, non è proprio possibile perché ci sono dei sistemi di verifica che permettono di scrivere e ad andare in onda con uno scarto minimo. Addirittura lì si va in onda con episodi ancor quando si sta scrivendo: ad esempio io sono in onda con l’episodio 4 e sto scrivendo l’episodio 8, per cui riesco anche a cambiare le cose – questo succede in America – in funzione del feedback che mi torna dalla registrazione e anche dal pubblico. È un sistema molto più evoluto di come invece noi lo stiamo intendendo.
La genesi di Mare Fuori: storylines multiple e il confronto con Gomorra
Cristiana Farina Ho lavorato a Un posto al sole quando ero una ragazzina, era il 1997 e conosco bene come far ruotare bene più personaggi e più storytelling all’interno di un episodio. Detto questo, il consiglio che posso dare ai giovani scrittori e scrittrici se si hanno diverse linee narrative è scrivere sempre intorno ad un tema. Ad esempio, tutte e tre le storylines dovrebbero ruotare tutte intorno allo stesso tema: se il tema è la vendetta piuttosto che la gelosia, adesso io vi parlo di grandi sentimenti, tutte e tre le storie ruoteranno intorno a questo tema. Per cui pur se non si incrociano, risuonano nel pubblico perché è come se tu costruissi un prisma, ogni faccia ti restituisce una luce dello stesso argomento, un aspetto. Il confronto con Gomorra può venire molto naturale parlando di Mare Fuori, nonostante non sono assolutamente io a dare le definizioni e a fare paragoni, ma si tratta di storie e di serie molto diverse. Io parlo proprio di tecnica del racconto: Gomorra ha un punto di vista unico, è un punto di vista che non prevede il bene e il male ma prevede solo il male. C’è solo un racconto ed è un racconto senza speranza. L’intento penso di chi l’ha scritto è proprio questo, ossia quello di dire che se prendi quella strada, se fai quello che fanno loro è la fine, non è che ce ne sia un’altra di possibilità. O finisci in galera o finisci ammazzato. Puoi essere ricco per un giorno, per un anno, per dieci anni ma poi alla fine il nodo arriva al pettine e quindi non c’è speranza, è un racconto senza speranza quello di Gomorra. Invece in Mare Fuori i punti di vista ne sono tanti, non ce ne è solo uno, non sono neanche due, sono molti ed è anche contraddittorio molto spesso. Mentre Gomorra è come un Far West, un po’ bidimensionale, anche come regia, come impianto tecnico, è tutto molto bidimensionale, ci sono queste inquadrature molto statiche, tutto molto studiato, precisissimo. È un gran lavoro, io sono una fan di Gomorra. In Mare Fuori, invece, è tutto molto scombinato: è anima, magma, pancia, è una roba più che si ride e si piange. Lo stesso ragazzo che ha compiuto un delitto lo puoi veder piangere perché ha fame o perché non gli va di svegliarsi alle sette di mattina, è un po’ così: è il racconto di un’umanità molto più complessa e che non ha fatto una scelta come in Gomorra ma che si ritrova in prigione per pagare per degli sbagli che ha fatto senza neanche pensarci più di tanto perché è un ragazzino e perché a quell’età si sbaglia e si deve sbagliare perché dagli sbagli si impara…anche se li hanno fatti un po’ grossi