di Vincenzo Totaro
Nel 1921 il cinema italiano era nel pieno di un inarrestabile declino cominciato durante la Grande Guerra. Prima del conflitto erano gli anni del cinema magniloquente esportato in tutto il mondo (Cabiria, 1914), tuttavia, per quanto la cinematografia italiana avesse perso molto terreno, non era difficile trovare film nostrani nel mercato estero, specie in quei paesi dove forte era la presenza di emigranti italiani. Dalla cineteca di San Paolo del Brasile, città con una corposa comunità di connazionali, è spuntata fuori alla fine degli anni ottanta una copia di un bellissimo film prodotto dalla Rodolfi Film di Eleuterio Rodolfi: Il quadro di Osvaldo Mars. Il film ha la lunghezza di 1266 metri (circa 60 minuti) e il visto censura risulta datato 1 Giugno 1921; festeggiamo quindi, questo mese, i cento anni dall’uscita del film.
La pellicola fu prodotta da Eleuterio Rodolfi che fondò la sua casa di produzione nel 1917 dopo essere stato capocomico e aver lavorato come attore e regista, spesso in coppia con Gigetta Morano per la casa torinese Ambrosio. Rodolfi morirà suicida nel 1933 spinto al gesto da una dolorosissima e invalidante infezione al collo causata dai colletti rigidi delle camicie che amava indossare.
Alla guida del film c’è l’ottimo Guido Brignone; la diva che interpreta la contessa di San Giusto è sua sorella, Mercedes Brignone, mentre Domenico Serra è Osvaldo Mars.
Passato praticamente inosservato, tanto dalla critica quanto dal pubblico, il film presenta molti spunti di interesse sia a livello luministico sia per la complessità del suo intreccio, decisamente inusuale nel cinema italiano del tempo (allo stato attuale delle nostre conoscenze).
In breve la trama: la contessa di San Giusto è accusata di aver posato discinta per una Salomé del talentuoso artista Osvaldo Mars. La contessa e il giovane artista non si conoscono; tuttavia lo scandalo sta per essere reso pubblico e il quadro con la Salomé esiste per davvero (ed ha per davvero il sembiante della bella contessa). La donna decide di andare a trovare il pittore per convincerlo a distruggere il quadro. Nell’incontro che segue i due non giungono a un accordo, con Osvaldo che insiste nel riconoscerla mentre lei sembra sinceramente ignara di tutto. La donna, sentendosi con le spalle al muro, sfregia il volto della Salomé. Un’ellissi temporale ci preclude il resto mostrandoci solamente un quadro completamente distrutto e il pittore morente che afferma di “perdonare la contessa”. Da qui in poi la contessa verrà sospettata di omicidio e i fatti vengono ricostruiti attraverso il racconto di diversi testimoni: ognuno di loro darà una prospettiva diversa dei fatti. In particolare: un pescatore e una bambina che hanno riconosciuto la contessa e la bambina, in particolare, è l’unico testimone oculare dell’accaduto ma per lo spavento non riesce più a parlare e resta a letto con la febbre. Si scoprirà poi, proprio grazie alla bambina, che il pittore si è in realtà suicidato e che la contessa aveva l’unico torto di somigliare come una goccia d’acqua all’amante di Osvaldo, nonché moglie del pescatore e madre della bambina, donna morta pochi mesi prima.
Come ci spiegano in modo esauriente Michele Canosa, Gian Luca Farinelli e Nicola Mazzanti, Il quadro di Osvaldo Mars «è un film metadivistico, in cui il corpo della diva viene raddoppiato, trasfigurato nelle sembianze di Salomé, privato della sua funzione narrativa diretta, in cui la diva stessa non solo è vittima di una complessa vicenda, ma vi ha un ruolo sostanzialmente secondario. Il dramma passa per la distruzione dell’immagine divistica (la tela squarciata) e per la rivelazione della verità affidata a una bambina resa muta dalla stessa visione del dramma che viene a lungo preclusa allo spettatore».
Ed è ancora Michele Canosa a spiegarci i motivi di interesse che sono legati all’aspetto narrativo della vicenda (all’intreccio piuttosto che alla fabula):
«Questo film che dava a vedere un diva-film per volgerlo in giallo, ora sdrammatizza (letteralmente) il tema decadentista del sortilegio legato al doppelgänger ritratto e, con un’altra svolta, delude il giallo per risolverlo in melodramma. Salomé dipinta […] trasfigura le sembianze di un sosia, l’umile donna amata da Osvaldo Mars. Insomma, ci siamo nuovamente sbagliati: non si tratta neanche di un melodramma ma di una commedia degli equivoci. Di qui la conclusione del giudice istruttore dopo aver ascoltato inutilmente tutte le deposizioni – didascalia: “Dico che non ho ancora mai avuto a che fare con tanta brava gente!”»
Il film presenta, inoltre, delle particolarità nell’aspetto fotografico (curato da Anchise Brizzi) e nelle scelte che ne fanno un caso più vicino al cinema nord europeo che agli stilemi più tipicamente italiani del periodo; l’utilizzo di fonti di luci in campo che era un modo poco praticato, per quel che sappiamo dal cinema italiano del periodo più incline all’utilizzo di luce naturale, mentre era la prassi nel cinema scandinavo coevo, per esempio.
Resta un’opera di estremo interesse, testimone di un dinamismo testuale e una cura del particolare che ha contribuito a rivalutare il contributo della nostra cinematografia in chiave leggermente diversa rispetto a quanto ritenuto in passato; nello specifico, Il quadro di Osvaldo Mars, insieme ad altre pellicole, testimonia il ruolo attivo del cinema italiano nell’utilizzo e sviluppo di alcuni elementi del linguaggio cinematografico come il flashback.
La pellicola, conservata presso la Cineteca di Bologna è visionabile in Dvd o Vhs sia presso la Biblioteca Renzo Renzi che presso la mediateca del DAMS di Bologna.
testi citati:
Bernardini Aldo, Le imprese di produzione del cinema muto italiano, Bologna, Persiani Editore, 2015.
Bernardini Aldo, Cinema Muto Italiano, Protagonisti, Bologna, Cineteca di Bologna, 2018.
Canosa Michele, La congiura degli innocenti: Il quadro di Osvaldo Mars, in Bertetto Paolo, Rondolino Gianni (a cura di), Cabiria e il suo tempo, Torino, Il Castoro, 1998.
Canosa Michele, Farinelli Gian Luca, Mazzanti Nicola, Storie di corpi in estinzione, in Renzo Renzi (a cura di), Sperduti nel buio, il cinema muto italiano e il suo tempo (1905-1930). Bologna, Cappelli Editore, 1991.
Martinelli Vittorio, Il cinema muto italiano 1921, i film degli anni venti, Torino, Nuova Eri, 1996.