In Schede

Gandolfo Cascio, “Michelangelo in Parnaso. La ricezione delle Rime tra gli scrittori”, Marsilio, Venezia, 2019

di Olga Trukhanova

Nell’anno del centenario di Dante è stato opportuno riportare l’attenzione su Michelangelo poeta, intrinsecamente grande e spiritualmente prossimo a Dante in un tempo,lungo oltre tre secoli di petrarchismo dilagante non solo nelle patrie lettere, ma ovunque ci si voltasse in Europa a creare poesia e a fruirne. L’importanza del lettore come destinatario di monumenti e di intense imprese poetiche è stata a lungo sottovalutata, se non del tutto emarginata. La sua preziosa riscoperta ci offre, invece, una visione dell’opera indubbiamente poco unitaria e spesso foriera di contraddizioni, ma allo stesso tempo più completa e solida.

         Gandolfo Cascio nel Michelangelo in Parnaso ricostruisce vari modelli e approcci di lettura alle liriche michelangiolesche attraverso i secoli, facendoci toccare con mano la maggiore o minore densità della loro ricezione e adesione presso lettori “speciali”dei quali dipinge un ritratto di gruppo peculiare e spesso illuminante del loro modo di pensare e d’intendere poesia.

         La lettura restituisce al libro l’unitarietà di visione che l’autore sembra essersi perso per strada ad inseguire i filoni disparati dell’esistenza così come la statua riceve unitarietà dall’opera dello scalpello che ricongiunge i vari filoni delle idee preliminari. La lettura delle opere poetiche “dà al libro l’esistenza sconnessa che la statua ‘sembra’ ricevere soltanto dallo scalpello. Il libro ha in un certo senso bisogno del lettore per diventare statua […]”, afferma Maurice Blanchot nel suo L’espace littéraire.Secondo quanto Gandolfo Cascio fa emergere a tutto tondo nel suo studio, Michelangelo, che possedeva divinamente l’arte dello scalpello enon in senso metaforico:“quando […] era coinvolto emotivamente, predilesse l’espressione scritta a quella visuale” (p. 24).

Il saggio consta di un’introduzione, di cinque capitoli, articolati internamente sulla base dell’argomentazione che s’intende svolgere, e di una conclusione.

         Lo studioso apre la sua indagine filologicamente accurata con un excursus dettagliato sul modo d’intenderlo nel Cinquecento: “Già nel suo tempo ci si serviva di Michelangelo come di un personaggio letterario” (p. 18) e citain primisLudovico Ariosto, che lo include “in uno smagliante catalogo” (p. 16) di artisti come Fidia e Prassitele che si ancorano al fondo del tempo, per risalire fino a Leonardo e al rivale Tiziano. La prima recensione in versi a Michelangelo poeta, il Cascio, invece,l’attribuisce a Francesco Berni (1497/98-1535), che “mette in evidenza delle novità tematiche e stilistiche” (p. 19) del genio toscano, inadempiente alle direttive bembiane, allora predominanti che prevedevano come modelli la lingua del Canzoniere del Petrarca per la poesia e quella del Boccaccio per la prosa. Questo primo capitolo, ricco di testimonianze dirette, pone l’accento sul “dialogismo” vivo e vivace tra le Rime e i suoi lettori contemporanei, tra i qualiannoveriamoGaspara Stampa (1523-1554), Gandolfo Porrino (?- 1552), Benedetto Varchi (1503-1565), Vittoria Colonna (1492-1547) e Giorgio Vasari (1511-1574).

         Il secondo capitolo è dedicato ai tre secoli successivi che si contraddistinguono per una quasi totale disattenzione della critica. L’uscita della prima edizione per i tipi di Giunti (1623) a cura di Michelangelo il Giovane, segnala paradossalmente un lungo periodo di oblìo, probabilmente a causadel vero e proprio “falso letterario” che il nipote del grande artista perpetrò. Il giudizio che ne dà Cascio, però, non si limita soltanto ai dettami dell’approccio filologico dei nostri giorni, ma si estende alle valutazioni storiche dell’epoca barocca considerandolo “un caso di ricezione creativa” (p. 65). A cambiare l’andamento delle cose sarà Ugo Foscolo durante il suo esilio in Inghilterra,il quale inaugurò la ripresa dell’interesse verso le poesie di Michelangelo.

         Il Novecento, su cui sono incentrati il terzo e il quarto capitolo,si pone come il climax del volume per la ricchezzadella documentazione e l’innovazione interpretativa.Partendo dalla Vita di Michelangiolo di Giovanni Papini (1881-1956) con l’affermazione delle influenze dantesche e la proclamazione della necessità insita di esprimere non solo in marmo o in pittura il proprio pensiero religioso, si procede con molteplici esempi di letture critiche diversificate e ricezioni creative. Da Thomas Mann (1875-1955) che fraintende la melancolia michelangiolesca e recepisce come immatura la sua poesia (p. 89), a Mario Luzi (1914-2005) che “apre la strada a una nuova esegesi sul petrarchismo di Michelangelo” (p. 107) ed Eugenio Montale (1896-1981) autore di un Michelangelo poeta nel quale lo accosta a Shakespeare, ma anche non immune da alcune contraddizioni;senza dimenticare Pier Paolo Pasolini (1922-1975), Giovanni Testori (1923-1993), Francesca Sanvitale (1928-2011) e Valerio Magrelli (1957). Di grande interesse è la parte dedicata ai poeti che riconobbero in Michelangelo un interlocutore sublime e persino “un superbo avversario” (p. 133). Cascio raccoglie minuziosamente le allusioni michelangiolesche nei più grandi scrittori italiani del XX secolo, dedicando loro capitoli anche lunghi e quasi sempre intensi, e tra questi Dino Campana (1885-1932) nella cui biblioteca non è stata rinvenuta una copia del libro di Michelangelo, ma “è verosimile che l’abbia avuto tra le mani” (p. 133), ed Elsa Morante (1912-1985); Dario Fo che “s’è innamorato del suo personaggio fino a sostituirvisi” (p. 185); Alda Merini (1931-2009), Patrizia Valduga (1953). Per molti è il risvolto omosessuale a creare un parallelo tormentato che accomuna l’esperienza esistenziale e, ancor più, il riconoscersi in un mondo poetico, spesso chiuso, claustrofobico, ostile, ma anche liberatorio. Vengono a mente i casi diJ. Rodolfo Wilcock(1919-1978) scrittore irregolare che pervenne a Michelangelo passando, anzi iniziando con Petrarca;Umberto Saba (1883-1957), Carlo Emilio Gadda che fonda la predilezione di Michelangelo perché “poeta dal vigoroso e originale timbro stilistico” (p. 190).Notiamo che Cascio si è divertito un mondo nel tratteggiare le deliziose mistificazioni di un Sandro Penna (1906-1977), apparentemente agli antipodi, che si pretendeva ingenuo, quasi naïf, ed invece era un manovratore di lungo corso nell’alterare, “date, nomi e luoghi”, solo che anche in lui l’autore rileva le convergenze/conversioni verso il distretto di Michelangelo: “Notte bella, riduci la mia pena. // Tormentami se vuoi, ma fammi forte” (p. 195).In un certo senso Gandolfo Cascio chiude il cerchio dei rimandi con due sorprese per sé stesso e per noi, dapprima mettendo in evidenza l’adesione in termini di estremo approdo a Michelangelo in Dario Bellezza (1944-1996): “Eccomi ancora nel mondo iniziato // carico d’anni e di peccati, involto in // insanie febbrili” (p. 199).In secondo luogo rinvenendo nella poesia di Patrizia Valduga l’incorporazione sic et simpliciter di una situazione psichica/morale michelangiolesca, cercando di dissimularne la fonte.

         Anche per quello che riguarda le traduzioni, lo studioso stringe la cerchia limitandosi esclusivamente ai traduttori poeti loro stessi, ma in compenso dà un vasto panorama geografico, inserendo non solo l’Inghilterra, ma anche Francia, Germania, Olanda e la Russia. 

         Il libro di Gandolfo Cascio ci fa sentire voci di lettori che talvolta innescano uno charivari caotico sul basso continuo michelangiolesco, ma non per questo meno rilevanti. Per concludere, si deve dire che l’autore è uno studioso well read ed è venuto brillantemente a capo di un argomento che per i suoi mille rivoli tout azimut tende a dissiparsi per ogni dove.