In Tu con Zero - Le interviste

Il mattone e New York: su La Fabbrica del Santo

Valentina di Corcia intervista Leonardo Gliatta

Valentino e Tore, figli della generazione di mezzo, quella a metà strada tra l’analogico e il digitale, disinteressati al dibattito politico e lontani dal clima barricadero dei cortei e della contestazione giovanile, vivono in attesa di andare via da un paese del sud Italia diventato famoso per il santo del nuovo millennio.  Un romanzo che ci riporta indietro nel tempo, agli anni Novanta, gli anni dell’ultimo segmento di benessere collettivo e dei cambiamenti sociali di cui solo oggi ci rendiamo conto, in una provincia pugliese che fonda la sua ricchezza nel grano e nel “mattone”, una realtà nella quale i due protagonisti si muovono a ritmi diversi: Valentino, con la sicurezza e la spavalderia del suo rango altoborghese, e Tore, con la cautela e il buonsenso di chi sa di doversi guadagnare ogni particella di felicità. Tra di loro Marida, sensuale e ipnotica creatura: amica, sorella e amante. Per tutta l’adolescenza le loro strade si intrecciano, si fondono fino a diventare una linea unica, che si inerpica tra le viuzze ripide di San Giovanni Rotondo ma che con  l’età adulta si biforca: da un lato, oltreoceano, nel reticolo fitto e regolare di Manhattan, dall’altro poco più a valle del paese, lì dove sorgerà la fabbrica del santo. L’obiettivo comune è continuare a salire: salire alla ricerca della perfezione ma anche sfuggire al destino mortale e raggiungere il sole.
Questo racconto di provincia, le cui pagine trasudano l’atavico desiderio di riscatto e rivalsa tipico di chi è nato al Sud, è  La Fabbrica del Santo, romanzo d’esordio di Leonardo Gliatta. Abbiamo intervistato l’autore per ripercorrere con lui i passaggi  salienti della storia.

La costruzione di un’amicizia e, parallelamente, la costruzione di una basilica.
Costruire un rapporto è come edificare una basilica, un santuario?

I due ragazzi del romanzo, Salvatore e Valentino, si conoscono, crescono e vivono mentre alle loro spalle si erige la nuova basilica di Padre Pio. Così come la fabbrica del santo è un cantiere vivo, fatto di ripensamenti, stop improvvisi, ritardi, intoppi, e di altrettanto inaspettate accelerazioni, anche il rapporto tra i due è un organismo vivente che palpita, brucia in vampate e scoppietta sottotraccia. Entrambe le costruzioni sono mosse da un forte desiderio, segnate da un destino che ha dell’irreparabile. Si deve portare a compimento la nuova casa del santo, costi quel che costi, e si deve tenere uniti, in una relazione simbiotica, i due amici affinchè la missione che hanno su questa terra si realizzi. In fondo, che cos’è l’amicizia se non un atto di fede?

Tore e Valentino: necessari l’uno all’altro eppure inevitabilmente rivali, stritolati in un rapporto eternamente in bilico tra il desiderio di sopraffazione e la ricerca di una metà complementare. Un sentimento profondo, a tratti ambiguo che ad un certo punto viene messo in crisi dall’arrivo di una donna: Marida. Qual è il reale ruolo di questa figura femminile?
Marida è il vertice della piramide, è l’anello di congiunzione tra Salvatore e Valentino. È sul suo corpo che i ragazzi si fanno la guerra, è il loro terreno di battaglia. La ragazza però, come tutti i personaggi è sì una vittima, ma è allo stesso tempo anche cosciente di quello che vuole: arriva a frapporsi tra i due perché sa di essere l’ago della bilancia, tenta di ottenere il suo tornaconto inseguendo il sogno di riscatto dalla provincia, ma si accorgerà presto di trovarsi in trappola.

In alcuni passaggi la scrittura diventa chiaramente cinematografica e rievoca, nella memoria del lettore, un certo cinema d’autore, in particolare quello di Bertolucci o Patroni Griffi… Quanto è importante il linguaggio visuale nella comunicazione contemporanea?
La mia formazione è cinematografica, ho studiato cinema e sceneggiatura. Quando penso una scena la racconto come se la vedessi al cinema. Oggi non esiste comunicazione che non sia prima di tutto visuale. Viviamo oggi più che mai in un regime scopico. Bombardati come siamo dall’informazione, da mille stimoli che il cervello fa fatica ad elaborare, per far passare un messaggio cerchiamo scorciatoie. Non si ha più tempo di assimilare un concetto, di descriverlo in pagine e pagine, tutto deve arrivare qui e ora allo spettatore/lettore. Instagram è il segno dei tempi, una immagine deve significare un intero discorso di senso. Stessa cosa accade nelle forme di comunicazione più tradizionali, come i romanzi. Sempre più brevi, sempre più sinottici, con frasi che sembrano uscite da una canzone rap, che cercano l’effetto, che squarcino mondi. E’ un nuovo linguaggio, più vicino alla poesia che alla prosa, che mi affascina e mi stimola. 

Passando tra le maglie del romanzo, sembra emergere una certa estetica della narrazione che richiama da vicino – per esempio – alcune scelte e alcune opzioni care a Nicola Lagioia, l’ultimo Lagioia, quello della Ferocia e della Città dei vivi, una certa tendenza al non-fiction novel che ammicca agli scandali dai salotti buoni di provincia. Forse anche una certa tendenza tutta nostra, tutta levantina di affrontare certe forme del narrato. Cosa c’è di tutto questo nel tuo romanzo? O, comunque, quanto pensi sia importante oggi una proposta narrativa così strutturata?
Ti ringrazio per la domanda, che mi permette di approfondire un aspetto importante della scrittura che sta dietro al mio romanzo. Il genere del non fiction novel ha padri illustri, come Truman Capote e Carrére, che partono dal sostrato di cronaca per piegarla ai propri bisogni estetici. Lagioia con gli ultimi due romanzi sposa questa formula narrativa, con un intento chiaro di rappresentare una società esausta, abbandonata ai suoi vizi, intrinsecamente corrotta dal capitale. Nel mio romanzo si respira l’aria levantina dei salotti buoni, in certi discorsi che l’avvocato Giurato fa a Salvatore si rintraccia il prototipo dell’istrionico, dell’affarista esperto, serpentino ma mai spietato, che è tipico del nostro territorio. I fatti di cronaca che riporto in vita, sono quelli legati alla vicenda umana e giudiziaria del faccendiere foggiano Raffaello Follieri, che giovanissimo tentò la scalata al potere negli ambienti ecclesiastici americani. Assurse agli onori delle cronache rosa per la sua love story con una allora sconosciuta Anne Hataway. Il percorso narrativo di Valentino si innesta così su quello reale di Follieri, e la fiction si rivitalizza grazie al reale, ne riceve struttura senza alterare i connotati drammatici.

Una prima prova sicuramente ben riuscita, la tua, un romanzo scritto bene e che,  prestandosi a diverse chiavi di lettura, affascina  e mantiene viva la curiosità del lettore  dalla prima all’ultima pagina. Cosa ha rappresentato per te La Fabbrica del Santo e cosa vorresti ancora raccontare ai tuoi lettori?
Il romanzo è un’opera prima, ho impiegato molti anni per dare la giusta forma a una storia che mi ronzava in mente. E’ una storia imperniata su un rapporto viscerale, totalizzante, tra due ragazzi, costruita su due personalità antitetiche ma complementari. Ho attinto ai miei ricordi, è un racconto intimo e personale, che ho dovuto guardare sotto la lente di un topos classico, quello della ascesa e della caduta, della hybris greca. Ne avevo bisogno per prenderne le distanze, per non farmi fagocitare dalla relazione conflittuale dei due. Il mondo dell’adolescenza è una attrazione molto forte per me, un terreno di indagine su cui sento di dovermi spingere. E’ un periodo della vita in cui l’identità è in divenire, in cui non siamo ancora condizionati dalle regole sociali. Ecco, questo mondo, quello dell’eterna possibilità, dove si può ancora essere quello che si vuole, è lo scenario in cui vorrei muovermi. Fertile, inesauribile, cristallizzato in un eterno presente.

Leonardo Gliatta è nato a Foggia, nel 1977. Ha studiato Scienze della Comunicazione all’Università di Siena, dove si è laureato in cinema, con una tesi su Wong Kar-wai.
Scrive racconti per diverse testate (Crackrivista, Racconticon, Blamrivista), e antologie (Giulio Perrone Editore), sceneggiature per serie tv (Mediaset)  e radiodrammi (Lifegate Radio). Nel 2020 ha pubblicato il suo primo romanzo, La Fabbrica del Santo, per Ianieri Edizioni.
Si occupa di media strategy e analytics per le reti del gruppo Discovery Italia (Real Time, Nove, Dmax).

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