In Schede

L’estate breve di Macioci

di Camilla Zonno

«La vita è questa tenebra rischiarata dai lampi di un altrove perduto, e ogni ragazzino steso a pancia in su nel grembo di una sera estiva lo sa con la dolce e bruciante certezza delle viscere». L’estate breve è un dialogo tra ‘tenebra’ e ‘altrove perduto’, tra maturità e giovinezza, tra l’età della consapevolezza, dei bilanci, delle valutazioni e la fase degli slanci, delle insicurezze, delle scoperte. In mezzo c’è la felicità, autentica da adolescenti, viziata da adulti: «Da giovani la felicità ci sembra una faccenda di rare ma giuste combinazioni, mentre da adulti niente più della felicità ci dà l’impressione di precipitare verso qualcosa di brutto».

Come dichiara lo stesso Enrico Macioci nella prefazione, si tratta di un libro “sia vecchio, sia nuovo”. Vecchio perché pubblicato nel 2015 per Mondadori col titolo Breve storia del talento, per poi essere ripubblicato con una seconda parte riscritta ad una distanza cronologica ed interiore di 10 anni. La struttura del lungo racconto (o, se si preferisce, romanzo breve) rispecchia le due dimensioni esistenziali che si riflettono l’una nell’altra con continui rimandi reciproci. Nella prima parte l’autore ripercorre esperienze adolescenziali, sentimenti e mutamenti vissuti nel condominio Prato Verde, un palazzo di cinque piani con annessi giardini, vialetti e un campetto da calcio, abitato da coppie giovani con bambini. Un micromondo, una palestra in cui crescere e allenare corpo e anima nella transizione verso l’età adulta, un crogiolo di ruoli che si definiscono in base al talento calcistico e alle prime cotte adolescenziali. Nella seconda parte il protagonista, ormai maturo e scrittore affermato, torna in quel condominio lasciato all’età di diciassette anni a causa di un trasferimento del padre. Torna per ritrovare sé stesso, o meglio, per accettare sé stesso, quando la sua relazione con Carla è giunta ormai a un bivio.

Dell’adolescenza viene aperta ogni piega, viene esplorato ogni angolo di «quel buco che ti inghiotte per restituirti diverso»: le passioni (per il calcio, innanzitutto, e per la poesia) e le umiliazioni («una delle principali vie di accesso all’età adulta»), il talento e le delusioni, la vita e la morte, in una sfocata zona esistenziale in cui si definiscono gradualmente i confini tra amicizia e amore e la progressiva trasformazione dei corpi conduce all’esplorazione della sessualità.

Un universo di situazioni, episodi e personaggi insieme ai quali vive, gioisce, soffre e cresce. Tra tutti spicca “il grande Michele”, ragazzo adottato, dotato di uno straordinario talento nel calcio e che, proprio per questo, porta il protagonista a riconoscere il proprio limite, a sperimentare la delusione (fino a prima del suo arrivo, era stato lui l’indiscusso campione delle partite del condominio), ma anche a scoprire la vera amicizia. E poi c’è Miriam, bambina seducente e donna precoce, ignorata, poi desiderata quando la distanza è ormai incolmabile e la delusione delle scelte brucia in profondità. Giampaolo, poco incisivo nella prima parte, è una sorta di alter ego che gli indica il suo vero talento, quello da lui celato e accantonato a favore del calcio: la scrittura. E proprio Giampaolo sarà presente anche nella seconda parte, quella della maturità e dei bilanci, ultimo baluardo di un’adolescenza dissolta, trait d’union tra l’ora e l’allora. Sono tanti i personaggi, protagonisti di singoli episodi o semplici comparse, ognuno con un proprio ruolo ritagliato all’interno di un microcosmo giovanile di cui a volte l’autore sembra essere solo spettatore: la scoperta dell’amore, la nascita di tenere coppiette, episodi di bullismo e violenza fino all’omicidio, la dissoluzione della fede in Dio.

Come per Odisseo, il ritorno implica il recupero della propria identità, il confronto con un passato avvolto nel mito e di cui restano poche tracce dai contorni ridimensionati. Chi siamo? Per comprenderlo è necessario riesumare l’estate della nostra esistenza, rintracciare quello che eravamo e come abbiamo vissuto la libertà («la sensazione che il tempo fosse abbastanza per ogni faccenda»), la scoperta dell’amore, della sessualità, della morte e del dolore, del dubbio e della risolutezza. Di qui la straordinaria operazione di ricostruzione intima e allo stesso tempo dettagliata, di un passato sfocato attraverso l’uso magistrale della parola. Macioci ha uno stile denso ed evocativo capace di ridare piena vita a sensazioni e personaggi della sua adolescenza, con la consapevolezza di ‘un talento’ che, pur mettendolo a disagio, gli è stato riconosciuto fin dall’infanzia, come lui stesso racconta all’interno del romanzo. La sua bravura descrittiva si condensa in un paio di pagine che esordiscono con l’esplicitazione del suo intento: «ora voglio usare le parole per metterci dentro i ricordi e conservarli il più a lungo possibile; voglio ricordarmi l’odore dell’erba appena tagliata, specie nel tardo pomeriggio, quando veniva raccolta in mucchi, ciascun mucchio a un angolo dell’aiuola con le nuvole dei moscerini a danzarci sopra»; e altrove «Sul muro del balcone della mia cameretta, durante le ore calde, venivano a posarsi le coccinelle. Il muro, a toccarlo, sembrava pane appena sfornato».

Diventare adulti significa fare i conti con ciò che sognavamo di essere e quello che siamo diventati, significa valutare i talenti che ci sono stati assegnati e ciò che ne abbiamo fatto, le occasioni che ci sono state offerte e quelle che abbiamo colto. Crescere significa anche morire, perché «si può morire un sacco di volte: tante quante si osa vivere». Questo romanzo è dunque una breve storia del talento e di chi ce l’ha fatta. La vita riserva sorprese e può trasformare i sogni o addirittura le certezze dell’adolescenza in fallimenti, così come offrire possibilità di successo inaspettate.

Enrico Macioci, L’estate breve, Alberobello, Terrarossa, 2024, pp. 125, € 15.00