di Demetrio Paolin
– 1. Ho deciso di redigere delle piccole postille durante la lettura di Trilogia del Nord di Céline. Di tanto in tanto, senza una vera regolarità, metterò in ordine numerico crescente le mie impressioni. Ogni volta aggiornerò il medesimo file: le nuove postille saranno separate dalle precedenti da un segno grafico. Buona lettura.
0. Prima di leggere il testo ci troviamo davanti a una soglia, quella dei titoli. Cosa suggeriscono Da un castello all’altro, Nord e Rigodon? Il tema comune è lo sposarsi nello spazio; il primo titolo è emblematico: ci si muove da un posto all’altro. Il titolo suggerisce al lettore una rotta: io parto da questo luogo e arrivo a quest’altro. Lascia presagire quindi un terminus, una stazione definitiva e ultima a cui approderemo, e infatti il secondo titolo ci indica la direzione come in una mappa, il nord come punto cardinale tipico dei naviganti. Il terzo titolo, però, modifica questa interpretazione: Rigodon allude a un ballo, classico della Provenza, che è un ballo in tondo; in questo modo Céline rafforza il vettore del movimento, ma ne modifica l’esito: da un lato il desiderio del Nord, della pace, come luogo della salvezza, ma dall’altra la frustrazione del ritorno allo stesso posto, al punto in cui si è partiti. La narrazione procede ruota su se stessa, non è un esodo come i primi due titoli vogliono suggerirci, ma è un nostos, ma è un non voluto e desiderato un ritorno beffardo e ironico, come una presa in giro.
0.1 La funzione del ritorno e dell’erranza è un’antica struttura della narrazione (bisognerebbe studiare il collegamento tra orfanità e erranza). Non c’è narrazione che paia non rispondere a una delle due esigenze o la storia di una orfanità o la storia di una fuga. La Trilogia risponde ad entrambe le necessità (forse questo è tipico del romanzo novecentesco penso a l’Ulisse di Joyce): Céline è orfano della sua patria, della sua idea di patria e nello stesso tempo è in fuga, braccato, la sua è una erranza nel duplice aspetto di errore e movimento: questo suo vagare, però, non conduce alla pace, alla scelta di vita, alla volontà di ritorno al grembo della madre terra che Molly rappresentava nel romanzo joyciano e neppure all’arrivo nella terra promessa dell’Esodo o alla patria dell’Odissea. Trilogia è un romanzo che gira a vuoto intorno a se stesso, più simile al non-senso dei romanzi beckettiani.
1. L’esplorazione della soglia continua con la definizione di romanzo. Céline sceglie per tutti e tre i testi il sottotitolo di “romanzo”: abbiamo davanti una narrazione di tipo finzionale, dove esiste un autore, un narratore e uno o più protagonisti. Dovremmo, nella lettura, ricordarci di questa volontà di autoriale e editoriale; Céline sembra suggerirci sin da subito che ciò che leggiamo deve essere compreso attraverso la lente dell’opera di finzione, distinguendo quello che è legato all’esperienza biografica dell’autore e da ciò che è tecnicamente narrativo (ad esempio i tempi, il montaggio delle scene).
1.1 C’è qualcosa di ambivalente nella parola romanzo in questa situazione: il lettore sa, lo sapeva anche nel momento in cui i romanzi venivano via via pubblicati, lo sapeva l’autore quando componeva l’opera e, di certo, in parte contribuiva a creare questa attesa (vd. le sue interviste), che il tema della Trilogia sarebbe stato percepito come profondamente autobiografico, dove i protagonisti centrali erano Céline, sua moglie e il suo gatto. Eppure definire questi testi attraverso l’ampia categoria di genere – che viene racchiusa nel termine “romanzo” – suggerisce al lettore di non abbassare la soglia di attenzione e a non credere che tutto ciò che è scritto abbia una corrispondenza esatta nella verità autobiografica.
2. Mentre leggo Trilogia del Nord, riprendo in mano Letteratura Europea e Medio Evo latino di Curtius, ne sottolineo questa frase: «Un libro, indipendentemente da ogni altra cosa, è un “testo”. O lo si comprende o non lo si comprende. Vi si trovano alcuni brani “difficili”. Per comprenderli occorrerà una tecnica: questa si chiama filologia». Il rischio di sovrapporre la figura di Céline, la sua storia, le sue scelte e posizioni ideologiche alla sua opera è sempre presente; ma se questo accade daremo della Trilogia una lettura moralistica, che produrrà giudizi sulla opportunità o meno dei temi trattati, ma non produrrà riflessioni sul testo in sé, la sua costruzione, la sua lingua, la sua retorica e l’ordine della composizione. Se dimentichiamo che la Trilogia è un testo, anzi è essenzialmente un testo, se non utilizziamo gli strumenti delle filologia, finiremo per produrre giudizi etici, che – per quanto legittimi – non attengono alla letteratura, ma al massimo alla verità giuridica in alcuni casi e storica in altri. Leggere un romanzo non è leggere un verbale di un processo, o ricostruire la correttezza storica di un evento, ma è produrre un aumento del proprio “mondo interiore”.
2.1 Céline è nazista? La domanda è mal posta, anche perché produce uno spostamento nella lettura del romanzo: non leggiamo il romanzo per stabilire le colpe e le scelte personali; non è questo tema della Trilogia: se leggiamo il testo con tale intento prediamo la possibilità di vedere un modo diverso, tramite una prospettiva diversa, il racconto della seconda guerra mondiale. Leggere la Trilogia come un libro di storia, o come una confessione indiretta, e non come una narrazione finzionale è un errore di prospettiva. Un testo letterario è solamente un testo letterario, non ha altra funzione che essere un testo letterario, non ha altra ragione d’essere che l’essere un testo letterario. In un certo senso, so che l’affermazione è volutamente provocatoria, anche l’opera di Primo Levi deve essere – prima di tutto e solamente- letta come testo letterario; sostanzialmente, quindi, non c’è nessuna differenza tra la Trilogia del Nord e la Tregua.