In Grado Zero/ mdp

Un presagio immortale. Addio a Richard Donner, uno degli ultimi goony del cinema americano

di Umberto Mentana

Chi come me ha avuto la preziosa occasione di essere un bambino o un adolescente durante i favolosi anni Ottanta o Novanta si è ovviamente imbattuto nelle visioni ‘spettacolari’ dei cult hollywoodiani di Richard Donner, un autore impressionante che sapeva facilmente destreggiarsi nel meccanismo delle narrazioni di genere, film all’epoca emblematicamente denominati blockbuster per via delle celebri vhs. Autore affermato, tanto quanto prezioso portavoce di nuove frontiere dell’horror, se pensiamo all’inquietantissimo The Omen (Il presagio, 1976), precedente alle sue pellicole “d’oro” – e capace allo stesso tempo di rinsaldare vecchi legami con la tradizione gotica di ascendenza “cormaniana”; famosissimo anche per la ‘sua’ serie televisiva Tales from the Crypt (I racconti della cripta, 1989-1992), fu soprattutto gran tessitore di universi ludotetici, tanto che si può parlare della sua filmografia quasi come di una ludografia.Non a caso Dick, come era solito farsi chiamare da colleghi del calibro di Steven Spielberg o Mel Gibson, fu sicuramente uno dei massimi sostenitori della dimensione nerd e del “gioco” al cinema, intesa come un microcosmo di rimandi, situazioni, personalità facenti parte proprio di quell’universo intriso di videogame, fumetti e canovacci avventurosi che hanno imprescindibilmente catturato la sua opera. Donner fu il primo regista di aver reso immortale su pellicola Christopher Reeve nei panni dell’invincibile Superman (1978), uno dei primi cinecomics quando difatti ancora non esisteva né questa etichetta e né un mercato per questo tipo di titoli. Superman è un film ancora oggi ricordato per la sua efficacia, per la sua forza fotografica e per un cast di contorno di incredibile rispetto, tra cui Marlon Brando e Gene Hackman. Inoltre, come i ragazzi degli anni Ottanta possono dimenticare la magia fantasy di Ladyhawke (1985)? Un film tra l’altro quasi integralmente girato in Italia, una storia d’amore e di magia di impossibili incontri dettati dal volgere della luna e del sole, tra un lupo ed un falco che forse mai si incontreranno in forma umana, una favola immortale che parla ai sentimenti, che ci fa sognare persino oggi ad occhi lucidi. L’espressione massima del suo immaginario, della sua poetica giocosa – tale possiamo definire la messa in mostra della sua filmografia – arriva però con The Goonies (I goonies, 1985), film manifesto di quella cultura generazionale sopra detta. Non a caso, anche dal punto di vista produttivo I Goonies fu un film-richiamo per talentuosi nomi appartenenti a quella sfera del “maraviglioso”: Steven Spielberg lo produce e scrive il soggetto, Chris Columbus è lo sceneggiatore (l’anno prima firma la sceneggiatura de I Gremlins e successivamente sarà il regista di alcuni capitoli delle più riuscite riduzioni di saghe letterarie fantasy tra cui Harry Potter e Percy Jackson) e Dick Donner lo dirige. Il film è un gioco su pellicola, letteralmente, che fisserà una bandiera per sempre nell’immaginario nerd, o goony se preferite (dallo slang americano, ‘sfigato’, seconfo la definizione di un certo tipo di adolescenti dell’epoca per via dei loro interessi e ossessione verso la cultura pop), tanto che per il casting dei protagonisti della moderna serie televisiva Stranger Things, indubbia discendente del titolo del 1985, ai candidati era stato imposto di recitare alcuni passaggi de I goonies per essere provinati. Quindi, la caccia al tesoro, il gruppo di amici “sfigati” poiché diversi armati di bicicletta, antiche mappe dei pirati, utilizzo di strumenti di tecnologia avanzata, Super “Sloth”, Willy “L’orbo”, la barretta Baby Ruth, il trionfo dei valori adolescenziali contro l’imposizione delle rigide e fredde regole genitoriali, la vittoria dei sogni, della possibilità dell’inaspettato sulla eccessiva normalità del presente.

         Potrei continuare per pagine ad elencare cosa è stato e cosa ha rappresentato I Goonies, ma credo che ad ognuno di voi queste semplici parole suscitano dei ricordi e delle immagini ben precise che continueranno ad alimentare la fonte umana più preziosa, la fantasia. E Richard Donner ne aveva a dismisura, tanto che a fine anni Ottanta ed inizio anni Novanta proseguiva la sua cavalcata di divertimenti, inventando la saga “buddy movie” per eccellenza: Lethal Weapon (Arma letale, 1987) di cui diresse tutti gli episodi fino al 1998. Una follia delirante per le strade di Los Angeles dove lo spettatore è accompagnato dagli iconici poliziotti Martin Riggs (Mel Gibson) e Roger Murtaugh (Danny Glover), dai metodi di indagine diametralmente opposti e dall’esplosività incontenibile, Arma letale è unaltro cult inevitabile e di obbligato rewatching. E infine, a chiudere un grande e bellissimo cerchio, era quasi inevitabile per uno come Dick Donner, saldo nella fede del recupero del sentimento fanciullesco, cimentarsi nel testo letterario per antonomasia e canonico del dissidio e della forza nel riprovare a guardare il mondo con occhi spensierati di un ragazzino o di una ragazzina, ossia A Christmas’ Carol di Charles Dickens. Donner lo farà nel 1988 dirigendo Scrooged (S.O.S. Fantasmi, 1988) con un grandioso Bill Murray che interpreta uno Scrooge  moderno,  prestando il volto al potente ed apparentemente cinico ed egoista Francis Xavier Cross, presidente di un network televisivo che ha perso tutte le persone a lui più care per il suo successo personale e su cui la “solita” visita dei fantasmi di rinnovata interpretazione – tra cui un tristo mietitore, rappresentazione del “Natale futuro”, con una televisione al posto del volto è chiarificatore dell’universo pop sempre al centro dell’opera di Donner – gli faranno cambiare rotta esistenziale.

         Nonostante gli ultimi suoi sforzi da regista agli inizi del Duemila, gli esiti non sono stati più all’altezza delle glorie passate: mutato e concluso il tempo della fiaba e delle meraviglie dopo gli anni Novanta, la sua carriera da produttore ha lasciato comunque una traccia importante: per suo merito sono stati prodotti i primi episodi della saga dei cinecomics Marvel X-Men e Wolverine. Ancora una volta un altro cerchio chiuso dopo l’esplosione di Superman iniziata ben vent’anni prima, e che tralaltro ha finalmente riabbracciato nel 2006 sceneggiando per la testata “DC Comics”, la serie a fumetti Ultimo figlio,rilanciando il personaggio del Generale Zod come nemico di Superman.

         Richard Donner è stato un gigante per la generazione Y ed il suo merito è insito nelle bellissime immagini e nelle storie che ha creato e che continuano a sopravvivere, come fanno tutti i giochi che possiamo all’infinito riprendere e ricominciare da zero. Ciononostante la sua opera non è stata sufficientemente resa con doverose dimostrazioni. Sono però certo che spettatori e appassionati continueranno a perdersi, spaventandosi, innamorandosi, sganasciandosi dalle risate, esaltandosi attraverso quelle micidiali ed energiche immagini in movimento.