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“Berggasse 19. Una donna di nome Anna Freud”: tra memoria, amore e psicoanalisi

di Carmen Rampino

Sono nata in una fredda mattina di dicembre in Berggasse 19, “la strada della psicoanalisi”, così la chiamavano a Vienna. Ultima di sei figli, sono sempre stata una bambina schiva, incapace di conciliare la timidezza con la presenza degli altri (Lombardo 2024, p. 15).

A parlare è Anna Freud in Bergasse 19. Una donna di nome Anna Freud (Lombardo 2024), ultimo parto letterario di Lucrezia Lombardo. Oggi sono tante le narrazioni che cercano di raccontare storie di donne rimaste nell’ombra per secoli. Pochi, però, ci riescono in una maniera così chiara, dolce e appassionante come Lombardo con il suo libro pubblicato dalla casa editrice Les Flâneurs. Il libro inaugura la collana Le innominate il cui precipuo scopo è proprio dare voce a quelle sorelle che la storia ha relegato ai margini, pur avendo svolto un ruolo determinante nella storia del pensiero, dando così giustizia alla memoria tradita e rivendicando il posto che spetterebbe loro nella memoria collettiva. Infatti queste donne sono state tradite due volte: la prima volta in vita, quando hanno lottato il triplo per farsi ascoltare; una seconda volta quando sono state depositate nell’oblio, quando è stato attribuito loro il ruolo di moglie di, figlia di – condizione che in alcuni casi le ha sicuramente aiutate: quante non hanno proprio potuto parlare perché non si sono ritrovate in questa fortunata condizione? -, quando a loro è stato dedicato sui manuali, sempre se glielo è stato dedicato, un piccolo paragrafo con una menzione del tipo letteratura femminile. Quando una scrittrice viene identificata non attraverso l’appartenenza ad un genere letterario, a una corrente o a un fenomeno culturale, ma attraverso il proprio genere biologico c’è un problema, dal momento che, se parliamo di Montale, Manzoni, Pavese, non certo usiamo l’espressione letteratura maschile: non riusciamo, quindi, ancora ad identificarle all’interno di un contesto più ampio, ma sentiamo il bisogno di ghettizzarle, di marginalizzarle.

Allora la memoria, pur essendo facilmente manipolabile, è pur sempre l’unico strumento che rappresenta la dimensione pubblica della storia, e anzi, proprio in virtù del fatto di essere un artefatto, un costrutto prodotto collettivamente, deve riappropriarsi della storia di quella che banalmente rappresenta almeno la metà della popolazione mondiale. Nello svolgere operazioni di questo tipo è senz’altro difficile non abbandonarsi a vuoti cliché e luoghi comuni che non aiutano e, forse, sviliscono la causa. È riuscita, però, efficacemente Lucrezia Lombardo nel far conoscere e amare la storia di Anna Freud, donna sempre e quasi unicamente accostata al nome del padre.

Uscito il primo marzo in libreria, Berggasse 19. Una donna di nome Anna Freud risulta un lavoro vincente fin dalla forma scelta: una lunga lettera che Anna scrive a una tale Dorothy, di cui, se non conosciamo la storia vera, solo a p. 95 scopriremo il cognome, iniziandola a inquadrare socialmente: si tratta Dorothy Tiffany Burlingham, proveniente da una delle famiglie più ricche e potenti degli Stati Uniti, giunta a Vienna tanti anni prima in cerca di una scuola per i suoi figli e, soprattutto, di aiuto (cfr. Lombardo 2024, p. 21 e p. 97).

È una lettera inventata, ma basata sulla storia vera, ricostruita a partire dai carteggi di Anna, di Sigmund e di tutto il materiale proveniente dal Sigmund Freud Museum di Vienna: un non fiction novel. Tutto parte da Berggasse 19, via in cui visse la famiglia Freud. La strada solitamente associata a Sigmund, qui viene legata ad Anna, perché la memoria va ricostruita, non certo annullando quella pregressa, ma integrandola e completandola.

Questa è, quindi, proprio la storia di Anna che, attraverso il potente strumento della scrittura, pone finalmente sé stessa sotto la lente di ingrandimento della psicoanalisi.

La lettera, ovvero il lungo monologo, dà concretamente voce ad Anna, che al centro della scena, illuminata da una luce finalmente puntata tutta su di lei, in modo discreto, delicato e mai morboso ci racconta la sua vita, anche quella più intima. Pagina dopo pagina, attraverso una scrittura semplice e piana, dolce e rassicurante, veniamo sempre più inclusi, all’interno degli spazi che attraversa, degli odori che annusa, delle persone che incontra, della vita che vive, e ci sembrerà di essere a fianco a lei. Vivremo la Vienna liberty di primo Novecento, l’arte di Klimt, il sapore dolce amaro di chi, in diretta, stava piano piano sempre più precipitando verso il male, e poi il Nazismo, le persecuzioni, la fuga, la condizione di essere apolidi. L’autrice è riuscita ad immergersi integralmente in questo contesto storico-culturale e, prendendoci per mano, ci conduce in modo profondo all’interno di esso.

Anna richiama, evocandoli, i vari episodi e le varie persone che hanno segnato la sua vita, in primis suo padre: Sigmund Freud. D’altronde come può aprirsi un libro sulla psicoanalisi se non sulla descrizione del rapporto con il padre? Ed è proprio lui a venirne fuori in maniera diversa da quella che ci si aspetterebbe. Viene de-monumentalizzato e umanizzato: scopriamo che, per assurdo, proprio il padre della psicoanalisi non si è certo sottratto al meccanismo più tipico e basilare analizzato dalla psicoanalisi stessa, cioè al malsano rapporto con la figlia e ai traumi che le ha causato. Nella finzione letteraria Anna scrive: «Ho trascorso buona parte della mia infanzia priva del calore di un abbraccio paterno» (Lombardo 2024, p. 27). L’Anna bambina va incontro alle disattenzioni e alla freddezza del padre, all’insofferenza verso la figura materna, al sentirsi una figlia non voluta. Eppure, finirà per ringraziare quelle disattenzioni: «Credo di dover ringraziare le disattenzioni iniziali dei miei genitori, perché hanno permesso alla mia pena di trasformarsi in opportunità» (Lombardo 2024, p. 29). L’essere stata una bambina infelice le darà, quindi, la forza e lo stimolo per portare avanti la sua grande rivoluzione elaborando un metodo psicoanalitico per l’infanzia. Da figlia non voluta, riuscirà a farsi strada, ma dovrà lottare prima di tutto all’interno della sua stessa famiglia per emergere. E sì, con il tempo creerà un legame fortissimo con il padre, ma a costo di duri sforzi. Ecco perché nel tentativo di emancipazione, il rapporto con la figura paterna, comunque, occupa tutto il libro, che è la storia di un progressivo affrancamento. Tutto parte dal padre e attraverso un percorso di formazione e ostacoli si finisce per superarlo. Ciò è suggellato dalle parole dello stesso Freud: «Tu, figlia mia, mi hai già superato» (Lombardo 2024, p. 120). E Anna è riuscita nell’impresa, nonostante fosse destinata dalla società e dalla famiglia ad una vita segnata dall’invisibilità e da quei rigidi schemi patriarcali che la volevano subalterna, che la volevano semplicemente una moglie o una figlia di qualcuno, priva di una identità. Questa condizione, però, Anna non l’avrebbe tollerata. Anna prova disprezzo e rabbia verso le donne come sua madre o come sua sorella, le sembra che, pur felici e serene in quella condizione, gettino via il tempo prezioso delle loro vite tra visite e convenevoli artificiosi (cfr. Lombardo 2024, p. 38). La curiosità le deriva, invece, dalla vita del padre, e sarà a quella che tenderà durante tutta la sua esistenza. E determinante in questo viaggio di liberazione, per il suo coraggio e per il suo essere refrattaria ad ogni autorità, sarà Dorothy.

Ma perché Anna scrive una lettera proprio a Dorothy? Quale legame le lega? Più volte viene sottolineato che si tratta di una lettera di ringraziamento, di gratitudine a quella persona che le ha permesso di ritrovare la speranza. Se approcciamo al libro con uno sguardo vergine e senza conoscerne la storia vera, progressivamente attraverso tante spie testuali e dettagli sparsi qua e là, veniamo a conoscenza del legame che lega Dorothy alla scrivente. Capiamo così che si tratta di una lunga, dolce, intensa lettera d’amore. Non a caso la lettera viene definita, a p. 30, un «ultimo gesto d’amore». Tra le due esiste quell’amore che mette a nudo e distrugge le maschere, che rende vulnerabili, ma anche potenti, infatti Anna le scriverà: «Tu sei stata la prima persona che si è accostata a me senza alcun pregiudizio» (Lombardo 2024, p. 28). Le due sono state compagne di vita, lotte e studio. Hanno lavorato insieme per trovare dei metodi in grado di aiutare bambini traumatizzati, orfani di guerra, vittime di maltrattamenti, bambini senza una casa, attraverso i “War Nurseries” a Londra, gli asili di guerra, che poi inizieranno ad ospitare anche bambini sopravvissuti ai campi di concentramento. Il loro è un amore che è anche dedizione, condivisione di intenti, slancio per una causa che si converte in ragione di vita. Il libro è dunque una storia di amore, lotta, emancipazione, volontà di autodeterminarsi. E se a p. 126 scopriamo che l’Eros è l’antidoto contro la guerra, tutta questa lettera che trasuda di Eros, è considerabile un disperato tentativo di argine alla guerra.

Anche Dorothy fugge da una famiglia opprimente, intenta sempre a salvare le forme e le apparenze a scapito della sostanza. Da qui si capisce, dunque, come le classi sociali sono tutte, indifferentemente, toccate da un’organizzazione patriarcale oppressiva, solo che con livelli di ipocrisia diversi e con possibilità di salvezza diverse (non dimentichiamo che pur con tutto il coraggio che la contraddistingue, Dorothy ha avuto la fortuna di poter fuggire in Europa per salvare sé stessa e i suoi figli da una situazione dolorosa).

Durante tutta la lettera, la nostra attenzione sarà attratta sempre da Anna che, con il suo frizzante temperamento, con le sue lacerazioni, in lei presenti fin da bambina, la sua malinconica insofferenza, non viene mai restituita come un personaggio piatto o privo di sfumature. Fin da subito è contraddistinta da insanabili lotte interiori. Anna si troverà a vivere il conflitto tra la sua femminilità e l’irrefrenabile istanza all’autonomia (cfr. Lombardo 2024, p. 41), tra il desiderio di aiutare i bambini sofferenti e il suo rifiuto della vita familiare tradizionale, scelta da lei considerata egoistica perché finalizzata al perseguimento dell’esclusivo benessere dei propri cari (cfr. Lombardo 2024, p. 41), tra la sua volontà di aiutare i poveri e i sofferenti e la fortuna e il senso di colpa per provenire da un mondo confortante, borghese (cfr. Lombardo 2024, p. 44). E Anna, si diceva, ci attrae proprio perché in queste fessure e conflitti ci riconosciamo, perché è rassicurante sapere che il nostro essere sfaccettati, il nostro dover imparare a convivere con tutte le varie contraddizioni insanabili, caratterizza tutti. Senza Dorothy, però, forse non ci sarebbe stata salvezza per Anna, e viceversa. Lo slancio per l’aiuto del prossimo le ha legate, il trovare un complice, però, ha salvato entrambe.

Perché leggere queste pagine? Innanzitutto, ognuno vi troverà un pezzettino di sé stesso, anche semplicemente in alcuni stati d’animo o atmosfere evocate e, se si lascerà travolgere dalla potenza delle parole, troverà in alcuni angoli anche un pezzetto del nostro presente. Si legga a titolo esemplare l’elogio della condizione degli apolidi:

Ci abituammo all’idea che l’Inghilterra sarebbe diventata la nostra nuova casa, non certo una patria, gli apolidi non hanno appartenenza, né una nazione di cui sentirsi parte ma questa, forse, è la condizione migliore per proteggersi dallo spirito del nostro tempo, assetato com’è d’identità violente e di prevaricazione. (Lombardo 2024, p. 124)

Questo, però, è solo uno dei molteplici spunti offerti da un libro che riesce a tenere insieme mitologia, arte, tragedie greche, scultura, amore, psicoanalisi. La lettura del libro conduce ad una nuova consapevolezza, e forse aggiunge anche quel briciolo di rabbia in più alle nostre vite che ci porta a chiedere: Quanto ci siamo persi? A quali vette sarebbe giunto il pensiero se una parte di umanità per secoli non fosse stata ammutolita? E con quest’acre sapore in bocca proseguiamo nelle nostre personali lotte quotidiane.

TESI CITATI.

Lucrezia Lombardo, 2024, Berggasse 19. Una donna di nome Anna Freud, Bari, Les Flâneurs.