In Zero assoluto

Zero assoluto – appunti di tutto e niente.

di Francesca Bellucci

In fisica lo zero assoluto è la temperatura più bassa che si possa raggiungere in un qualsiasi sistema termodinamico. La temperatura è il frutto del movimento degli atomi, pertanto, quando tutti gli atomi sono immobili l’energia termica è assente. Ecco, io sento questo tempo come uno zero assoluto, la gelida immobilità delle coscienze, l’incapacità di percepire come materico e fissile la storia di cui facciamo parte. Siamo indifferenti a ciò che succede, vi agiamo passivamente, limitandoci a credere che ciò che sappiamo basti formulare giudizi, a prendere decisioni, a schierarci concettualmente.

Di che cosa abbiamo bisogno di parlare? Dietro quali maschere narrative dobbiamo nasconderci per osservare meglio quanto ci accade? Ma soprattutto, è ancora questo il fine della letteratura? Che cosa ci dice l’arte di uguale o diverso dagli ostacoli di parole che giornalmente superiamo tra un articolo di giornale e un post spesso mal scritto? Che esseri sociali siamo? Come e cosa pensiamo?

Per questo sono appunti di tutto e niente: tutto, perché ogni evento, qualunque azione compiuta da noi o da altri, i pensieri che formuliamo, i libri che leggiamo, il modo in cui scrolliamo le nostre home page social e quali profili scegliamo che le riempiano sono la nostra vita; niente, perché in questo maremagnum di correnti che ci portano convulsamente alla deriva e fortuitamente sulla battigia, a me sembra impossibile trovare un capo, un nesso logico, il bandolo della matassa.

Oggi abbiamo bisogno di parlare di educazione sociale, di scrittori e artisti che ci aiutino a vedere la realtà con lo sguardo profetico della disfatta a cui siamo destinati seguendo, immobili, lo scorrere delle cose.

Sono i giorni dell’indignazione, del dolore, dello smascheramento dell’incoerenza politica di questo Stato, un termine che ha smesso di appartenere al nostro vocabolario, che sentiamo come estraneo. “Stato” è il participio di stare. E’ come siamo stati e stiamo in un luogo, ma è anche ciò che vogliamo ci sia. E in questo momento non c’è niente di accogliente, di amabile e rassicurante. Siamo il popolo dell’abitudine e dell’ignavia. Appunto, lo zero assoluto. Incapaci di riconoscere il problema, di lavorare per qualcuno di diverso da noi stessi. Bambini mossi da un egocentrismo radicale che avremmo dovuto abbandonare nell’infanzia e che invece è l’imperativo categorico delle nostre vite: esiste se mi è davanti agli occhi, appena sparisce non esiste più. Allora come è possibile restare ancorati nel nostro tempo?

In questa rubrica non troverete verità rivelate; non leggerete, oggi, un certo lessico così tanto utilizzato in queste settimane, non vedrete impressa in un muro di parole l’ennesima rappresentazione della punta dell’iceberg. Cercheremo di andare oltre il pelo dell’acqua, di guardare al di sotto, a quella massa informe che è la società di cui facciamo parte.

Decidiamo di restare ancorati al centro della bufera alzatasi il 18 novembre, potente come non mai perché potenti sono state le parole, la richiesta di restare vigili prima dell’ennesimo oblio morale. Abbiamo visto, per davvero, qualcosa che è sotto ai nostri occhi e che, nonostante tutti i tentavi fatti, non chiamiamo per nome. Ripercorreremo le parole degli altri, vi chiederemo di regalarcene. Questa rubrica sarà uno spazio di riflessione per chi, con noi, non ha più bisogno di false risposte ma cerca le giuste domande. Partiremo da ciò che abbiamo, la letteratura, perché se è vero che dal nulla non nasce nulla, è vero anche quanto affermato da Chiara Valerio, curatrice dell’edizione 2023 di “Più Libri Più Liberi”: «siamo certi che leggere fornisca le parole e più parole si hanno, meno mani si alzano», un concetto non così distante dalla proporzione heidggeriana tra parole e pensiero: più parole possediamo, più complesso sarà il pensiero che potremo formulare.

Ex nihilo nihil. Oggi c’è tutto, da cui (ri)creare tutto.