di Giovanni Morese
“The first question! The question that must never be answered, hidden in plain sight. The question you’ve been running from all your life: doctor who? Doctor who? Doc… tor… WHO?”
Nell’infinito cosmico e multiforme dello storytelling contemporaneo, Doctor Who emerge come se fosse una colonna sonora senza tempo, una sinfonia di riscritture che per sessant’anni ha intrecciato passato, presente e futuro in un viaggio perenne attraverso il tempo e lo spazio. Questa odissea epica, così incerta nella sua genesi e nelle sue multiformi strutture si è così ampliata in una danza di rigenerazioni narrative che hanno ridefinito il concetto stesso di serialità televisiva.
Il Dottore, cantore e cuore pulsante di questa epopea, incarna la filosofia del rewriting in modi che hanno sempre sfidato il convenzionale. È un architetto del tempo, un’entità che plasma il proprio racconto attraverso le ere offrendo agli spettatori un’ossimorica emozione, tra l’incertezza di ciò che verrà e la confortevole consapevolezza che ritroveremo, in fin dei conti, lo stesso enigmatico personaggio di sempre.
Tuttavia, la magia della riscrittura non si limita al protagonista solitario. Companions, avversari, addirittura il logo della serie sono tutti parte di questa sinfonia narrativa in cui nulla è statico. Ogni personaggio, ogni elemento visivo, ogni storyline è un tassello mobile in un mosaico narrativo che si adatta e si reinventa; che fa giri pindarici e poi, magari, ritorna. È un franchise che ti consente di rincontrare Ian Chesterton dopo cinquantasette anni di assenza dalla serie poiché “this story is ending, but the story never ends”. È un Whoniverse in cui il temibile Toymaker lancia – nella black & white television targata BBC di un 1966 costellato di serial low budget che hanno posto le basi dell’attuale panorama multimediale – una sfida al Dottore che verrà ripresa solo nel 2023 in simulcast con la piattaforma Disney Plus in tutto il resto del mondo.
La lore del Signore del Tempo è una intricata tela di miti e leggende, una saga che si riscrive assieme a noi. Il comic diventa audiodrama, che a sua volta si trasforma in un memorabile episodio televisivo da cui verrà tratto un avvincente romanzo. La soundtrack, di generazione in generazione, si adatta ai tempi, sottolineando e amplificando le emozioni dell’esperienza di visione sia dei neofiti che dei seguaci del secolo scorso. In questo vortice temporale, Doctor Who ci insegna che la serialità non è semplicemente una forma d’arte; è un viaggio, una costante trasformazione che abbraccia ciò che è stato, ridefinisce l’odierno e getta uno sguardo audace verso mondi ancora inesplorati.
Il Sessantesimo Anniversario è, pertanto, un invito ad immergersi nel turbine di queste riscritture. È un percorso attraverso le ere, un omaggio alla maestria con cui il tempo è stato sfruttato come elemento narrativo, fino a divenire un personaggio a tutto tondo. Per questo gli imminenti speciali The Star Beast, Wild Blue Yonder e The Giggle si inseriscono all’interno del Whoniverse come un ponte tra il vecchio e il nuovo, un confortevole ed elegiaco ritorno che fungerà, forse ancora più del solito, anche da nuovo preludio. Un tuffo nel contesto sociale contemporaneo che ha l’intenzione di ridefinire gli stessi elementi iconografici che rendono questo prodotto la costante companion di decenni di Storia e di rappresentazione mediale. Una trilogia-evento in cui David Tennant, attore della Golden Age delle annate 2005-2010, torna – assieme al suo dream team – nei nostalgici panni del Dottore con lo scopo di aprirci a scenari inediti, ad un trip of a lifetime che rappresenti al meglio lo spirito eterno di queste narrazioni avvolte da un inconfondibile mistero. Da una domanda a cui non bisogna mai rispondere, nascosta in piena vista. Quella che inseguiremo per tutta la vita aspettando il suono della TARDIS, a prescindere da chi la stia guidando. Una blue box della polizia britannica con la quale cercare – attraverso gli occhi meravigliati dell’ennesimo essere umano che incrocerà la strada di quell’alieno che fuggì dal suo pianeta per scoprire se stesso – di mettere luce sul nostro fugace e nebuloso presente.