di Demetrio Paolin
Mi pare, ora, maggiormente chiaro cosa io intenda per economia romanzesca ovvero il modo con cui i personaggi si relazionano tra di loro, e su come il loro relazionarsi in qualche modo operi “cambiamenti” nel mondo narrato dal romanzo. Intendo, quindi, la parola economia con una sfumatura teologico religiosa, in particolare quando si discute di economia della salvezza o di economia trinitaria come descrizione possibile del rapporto tra il Dio, Cristo e lo Spirito Santo. Le cose che riprendo qui, in parte e di certo piegate alle mie esigenze di lettura, sono spunti che Agamben sviluppa ne Il regno e la gloria (Bollati&Boringhieri), e che in parte trovano eco nel saggio di Kristeva Il demone di Dostoevskij (Donzelli), dove la critica afferma come sia centrale nella narrativa di D l’idea dell’economia dell’icona (sicuramente partendo da Florenskij) in cui essa può essere vista come il tentativo di contenere, di dare un ordine, di mettere in chiaro la possibilità di percepire l’immagine di Dio.
L’economia, quindi, può suggerire sia l’idea di azione (l’idea del progetto), che l’idea di relazione (la messa in pratica del progetto). Quando parlo dei FK come romanzo economico, descrivo tale rapporto come una irrisolta tensione che provo a chiarire analizzando i rapporti tra i fratelli: Ivan, Alesa e Dimitri. La tensione tra di loro si polarizza, secondo me, in due termini: da una parte la terra e dall’altra il mondo.
Ivan/Alesa = terra
In FK, parte terza, libro settimo, cap IV, abbiamo lasciato Alesa disteso per terra, mentre «non si spiegava quella voglia irrefrenabile di baciarla e di baciarla tutta quanta»: è questo il “miracolo” delle Nozze di Cana (da cui il titolo del capitolo), è il miracolo, la comprensione profonda della morte, della puzza di Zosima: Alesa, come nella parabola del vangelo di Giovanni, capisce cosa vuol dire essere chicco di grano, morire e portare frutto, decide fisicamente di diventare tutt’uno con la terra, di essere seme, per poi essere frutto. Questo stupore terrestre, questa scelta di essere tutt’uno con la terra, rimanda al racconto di Zosima davanti al fiume alla natura priva di peccato e anche al discorso di Ivan sulla sofferenza dei bambini che è introdotto a partire dell’immagine delle foglioline. Ivan e Alesa, mediati dallo Starets, condividono la terra, e ciò che essa rappresenta: una sorta di luogo senza peccato, un’entità a cui tornare; la terra da cui viene fabbricato il nuovo Adamo, tramite la morte di Cristo. È vero, Ivan e Alesa sono agli antipodi come “fede”, ma entrambi condividono questo “amore” per la terra.
Dimitri = mondo
A prima vista, mettere in relazione Dimitri con il mondo parrebbe erroneo perché – ad esempio – etimologicamente Dimitri contiene in sé la terra, la contiene nel suo nome, eppure durante la lettura del romanzo il suo rapporto con la terra è diverso, non ha nulla della assoluta purezza o dell’assoluto desiderio di purezza che anima i discorsi di Ivan e Alesa: la terra di Alesa e Ivan è redenta, mentre Dimitri tiene in sé il mito di Demetra ovvero la sterilità e la fecondità, il ritornare ciclico delle stagioni: Dimitri è l’idea del tempo che ritorna, con costante avvicendarsi, mentre Ivan e Alesa, in modi diversi ipotizzano, un tempo lineare che arriverà a una fine, che mostrerà una salvezza che produrrà qualcosa di nuovo.
Questa ipotesi trova una serie di conferme in alcuni capitoli della parte terza, libro ottavo, in cui a campeggiare è il personaggio di Mitja. Nel capitolo III parlando della gelosia di Dimitri e mettendola in rapporto con l’Otello di Shakespeare leggiamo «il suo modo di guardare il mondo s’è spento». Possiamo notare che non dice “la natura”, o “la terra”, ma è proprio il modo di guardare il mondo (ecco il riferimento all’economia dell’icona/economia dello sguardo che ritorna) che è spento, modificato, offuscato. Nel libro ottavo, cap. VI, quando è chiaro il suo progetto suicida, progetto più immaginato che mai realmente preso in considerazione, Mitja esclama: «Concedimi di amare fino in fondo… di amare qui e adesso, fino in fondo, cinque ore prima dei tuoi raggi». A colpire è il qui e adesso: in Dimitri non è presente alcuna idea di futuro, non c’è nessuna speranza di futuro, nel dialogo tra Alesa e Ivan la scelta stessa di restituire il biglietto significa che esiste un viaggio con una precisa destinazione e tale destinazione viene ripudiata, ma il fatto di ripudiarla non significa in alcun modo che non esista, anzi ne certifica l’esistenza. Ivan e Alesa parlano la stessa lingua, parlano la lingua di Dio, della teologia, della salvezza e del perdono.
In Dimitri questo linguaggio non è presente; in libro ottavo, cap. VIII, leggiamo, a parlare è Grusenka, ma tali parole sono benissimo rapportabili a Mitja: «Siamo tutti buoni a questo mondo, dal primo all’ultimo. Si sta bene, a questo mondo. Noi saremo anche cattivi, ma al mondo si sta bene». Il mondo è il luogo in cui anche se cattivi si sta, si vive, è questo nostro mondo, in cui balordi, cattivi, buoni, gentili, assassini, ladri vivono insieme e, diversamente da Ivan e Alesa, né Dimitri e né Grusenka vogliono cambiarlo, ma tenerlo così come è, nel hic et nunc.
Solo guardando al mondo in questa accettazione, ovvero di un mondo irredento, si comprende l’esclamazione di Dimitri: «ti amerò anche in Siberia». Il luogo della prigionia, della colpa e della espiazione diventa per Dimitri il luogo in cui si può ancora vivere, e amare, in cui può essere ciò che è; non c’è nel suo amore nulla di redentivo, non vuol redimersi e non vuole salvare nessuno, non c’è in Dimitri la tensione alla palingenesi finale che è invece tipica dei suoi due fratelli.
Il mondo per Dimitri rappresenta il così com’è la terra, per Ivan e Alesa il così come sarà.