In Appunti di Lettura

Inquisizioni sui Karamazov – parte IX

di Demetrio Paolin

Una delle domande più ricorrenti nella analisi della critica letteraria è legata al chiedersi che cosa sia lo stile? In realtà è difficile definire lo stile di uno scrittore; anche il chiedersi in cosa esso consista produce una continua sequela di domande che nascono le une dalle altre. Cosa è lo stile di un autore? Per alcuni potrebbe essere individuato nella qualità della sua scrittura; ma cosa significa dire che uno scrittore scrive bene? Cosa significa scrivere bene, cosa distingue lo scrivere bene dallo scrivere male? D scriveva bene o male? Come facciamo a giudicarlo noi che non conosciamo la sua lingua? Lo stile, secondo altri, potrebbe essere legato alla capacità di creare trame? DFW ci ricorda, ad esempio, come tale qualità possa non bastare. Lo stile, che è lo stigma della grandezza di uno scrittore, potrebbe stare nella creazione di personaggi che sono vividi nella nostra mente oppure, o anche, nella abilità di produrre un discorso metaletterario. Nessuna di queste evidenze presa da sola produce una definizione appropriata di stile, tanto che potremmo immaginare come una relazione tra questi elementi: il romanzo non è tale perché è scritto bene, perché ha una trama avvincente, perché ci permette di riflettere su noi stessi, perché ci mostra personaggi che sembrano reali, ma per l’intima relazione di queste sfere tra di loro: un’unione che potremmo definire economica, una relazione e un rapporto per uno scopo: la produzione della esperienza romanzesca. 
Ho provato a fare un breve esperimento: ho scelto un episodio dei FK e ho provato a analizzarlo, rendendo evidenti quelle che, secondo me, possono essere le relazioni di “economia romanzesca” che producono il romanzo: mi sono soffermato sul libro quarto, della seconda parte, in particolare i capitoli che vanno dal III al VII.  Il centro degli episodi è Alesa alle prese con diversi protagonisti, tra cui Iljusa. Questi capitoli mi sono sembrati tra i più fertili del romanzo, mi si potrebbe obiettare che giunto a questo punto della mia riflessione, avrei potuto utilizzare altri momenti, invece di fare un passo indietro. Ciò può essere vero, ma io credo che una delle questioni centrali dei FK sia l’interpretazione del finale, che non a caso vede nuovamente protagonisti Iliusa (seppur morto) e Alesa con il suo continuo ricordare, rimuginare, riflettere sugli accadimenti raccontati nella prima parte del libro: insomma in quelle pagine, che ho provato ad analizzare, si gioca buona parte della comprensione dell’epilogo. Ho pensato, quindi, per rendere abbastanza chiara la mia riflessione, di scomporre il mio discorso in forma di vettori, limitando i miei interventi ad azioni di raccordo. Ecco il risultato. 

FK, parte seconda, libro quarto, cap. III
La sassaiola avviene all’aperto →    FUORI.
I protagonisti sono tre: a) il gruppetto; b) Alesa e c) Iljusa .
A dividere la scena è un ponte →    SOGLIA. Da una parte a e b, mentre c è da solo.
Iljusa sembra essere il perfetto capro espiatorio, ma è lui ad iniziare la sassaiola →   perché i ragazzi dicono ad Alesa che Iljusa lo riconosce. Iljusa lo colpisce. Ciò produce una sorta di passaggio delle colpe. Quindi è Alesa che domanda quale sia la sua colpa →    perché Iljusa lo morde: come se gli comunicasse il motivo, ma il motivo di questa colpa non può essere descritto a parole, è non dicibile, pregrammaticale → QUALE è la COLPA NON DICIBILE?
FK, idem, cap. IV
L’incontro è nel salotto → DENTRO
Centralità della ferita →    viene curata →    QUALE è QUESTA COLPA NON DICIBILE
Come nella scena precedente, Alesa è al centro di una sassaiola verbale tra Ivan e Katerina. Così come nella scena precedente Alesa interviene credendo di aver capito, invece sbaglia e la colpa cade su di lui.
Le due scene sono assolutamente rovesciate, ma simili. Avvengono una dentro e l’altra fuori, pare che ci sia un colpevole, un capro espiatorio, ma infine a prendere su di sé le colpe è Alesa.
Alesa prende la colpa, ma quale è la sua colpa? →    essere un Karamazov, infatti i bambini dicono che Iljusa lo riconosce, quindi lo riconosce in quanto Karamazov.    Nella scena del salotto si prende la colpa di Ivan, così possiamo intuire che forse la scena precedente la colpa poteva essere di Dimitri o del padre?
FK, idem, cap. VI
avviene nella casa →    CHIUSO
La scena ha tre protagonisti. a) la famiglia del capitano& il capitano b) Alesa e c) Iljusa.
La scena è divisa da una soglia →    la tenda
Il capitolo si conclude con il riconoscimento di Iljusa →    AGNIZIONE
FK, idem, cap. VII
Dialogo con il capitano    avviene fuori →   APERTO
Risponde alla domanda →   QUALE è LA MIA COLPA
Alesa accoglie la confessione, comprende la colpa del fratello e la fa propria →    la dichiarazione di aggiungere anche altri soldi a quelli dati da Katerina → SOLDI, TRADIMENTO – GIUDA? →    se accetto i soldi divento come Giuda, tradisco ciò che sono, divento qualcosa che non voglio essere. 
Rimane da comprendere cosa è Iljusa per Alesa? 
→ MORSO→    CARNE → PECCATO 
oppure 
→   MORSO →    LA FERITA/STIMMATE →    SALVEZZA
Ambiguità del tema dell’innocenza dei bimbi, prepara il ragionamento di Ivan sulla sofferenza dei bambini, e problema della libertà →    tema del Grande Inquisitore.
Come si legano la riflessione di Ivan sul biglietto (SOFFERENZA) e del Grande Inquisitore (LIBERTÀ)? Per comprenderlo forse bisogna notare come l’episodio della sassaiola → SOFFERENZA si concluda, alla fine del libro, con l’immagine dell’aquilone → LIBERTÀ.

Infine, vediamo alcuni nessi ricorrenti
la struttura a chiasmo    → APERTO/CHIUSO e CHIUSO/APERTO
La struttura dei personaggi →    3 contendenti nella sassaiola e 3 dialoganti nel salotto
la definizione non verbale di colpa e vergogna → colpa = morso e vergogna = abbraccio

La capacità organizzativa del racconto in D è il suo stile e lo stile può essere visto come una caratteristica economica ovvero di gestione del disegno, della trama e dei fili, ma il termine economico è ambiguo appunto non si riferisce solo “teologicamente” al disegno di Dio nel mondo, ma anche alla sua attuazione teleologica, ovvero di fine e di scopo: l’economia è un termine polisemico in cui noi possiamo vedere è il progetto nella sua interezza e il realizzarsi dello stesso.  Quando parliamo dello stile come di “economia del romanzesco” descriviamo appunto questa duplicità: leggendo le pagine dei FK riusciamo a vedere il progetto ampio del romanzo, dell’idea di romanzo che D ha ed il suo realizzarsi  continuo.