In Narrazioni

La tela e la scrittura

di Anna Potito

La storia narrata dall’Occidente comincia con Omero e sui temi della sua narrazione, in particolare l’Iliade, la cultura occidentale ha fondato la sua storia e la tradizione del suo pensiero. Tutto comincia con un atto violento, il rapimento della bella Elena, regina di Sparta e moglie di Menelao, da parte di Paride, giovane principe proveniente da una città lontana, Ilio, nell’odierna Turchia. Un gesto violento che chiede vendetta e riparazione, e dà inizio ad una guerra che provoca una catena di morti e che distrugge non solo i vinti ma anche i vincitori. È la prima “guerra totale”, dice Hannah Arendt, una guerra che coinvolge popoli e nazioni di varie lingue e culture con alleanze e schieramenti contrapposti che distrugge non solo il mondo visibile degli oggetti degli uomini ma anche quello invisibile delle relazioni umane, una guerra, voluta e combattuta dagli uomini, che le donne implorando e piangendo avevano tentato di evitare. Una guerra cui gli stessi uomini, poi cantati come eroi, avevano tentato di sottrarsi, Achille travestendosi da donna in un gineceo, Ulisse fingendosi pazzo. Ma la guerra è un affare di uomini e alle donne si addice il telaio, il fuso, il buon funzionamento della casa. È la definizione dello spazio femminile, domestico, in disparte da quello degli uomini, a loro, alle loro gesta spietate si addice il mythos, la parola, il canto per tramandare la loro fama nei secoli. E le donne? In disparte dagli uomini tessono nella loro stanza, insieme alle ancelle, tessono e cantano, con un ritmo cadenzato su quello del telaio, tessendo la tela, tessono la vita, amministrano la casa, ma anche loro raccontano non con le parole: affidano alla tela un racconto muto delle vicende che altri costruiscono su di loro per loro. Un’arte tessile che diventa strumento per uscire dal silenzio, una sorta di scrittura ad uso femminile, anche questo destinato a restare e tramandare. Ce lo racconta proprio Omero che nel terzo canto dell’Iliade descrive Elena intenta a questa opera. Elena, rapita da Paride, si trova ormai a Troia, sposa di Alessandro Paride; gli Achei hanno riunito un grande esercito di vari popoli della Grecia, sono accampati nella pianura antistante la città di Ilio e la guerra infuria con grande spargimento di sangue e di morti. Tutti sono stanchi e la vittoria non arride a nessuno dei due schieramenti. Dopo molte discussioni Achei e Troiani vengono a patti e decidono di affidare le sorti della guerra ad un duello. Alessandro e Menelao, i due che si contendono la “preda”, si sfidino in una contesa a due, chi vincerà prenderà Elena e tutti i beni e gli Achei torneranno alle loro case. In questo momento di tregua Laodice, cognata troiana di Elena, si reca da lei per accompagnarla da Priamo, sovrano di Troia e padre di Alessandro Paride, sulla torre più alta della città per aiutarlo a riconoscere, lei che viene da Sparta, i guerrieri in armi nella pianura. La sorprende intenta al telaio. “La trovò nella sala: tesseva una tela grande, doppia, di porpora, e ricamava le molte prove che Teucri domatori di cavalli e Achei chitoni di bronzo subivan per lei, sotto la forza di Ares.” (Iliade, III, vv. 125-129). Elena, quindi, racconta la guerra ancor prima di Omero e degli altri cantori. In contemporanea. È questo il tempo del telaio che, come dice Adriana Cavarero “ritaglia un luogo femminile dell’appartenersi e disloca altrove l’ordine patriarcale frapponendovi uno iato impenetrabile”. Che quest’arte fosse importante e stimata lo dimostra sempre Omero nell’Iliade quando, descrivendo la gara tra Aiace e Odisseo durante i giochi funebri per Patroclo, usa questa similitudine “come al petto di donna dalla bella cintura è vicina la spola, quando la tira con le mani, ben forte, passando la trama attraverso l’ordito, e accosto al petto la tiene, così vicino gli correva Odisseo e coi piedi ne ribatteva le impronte” (Iliade, XXIII, vv. 760-765).

Che la tessitura fosse un mezzo di comunicazione importante e di riconoscimento lo conferma la tragedia di Eschilo, Le Coefore, seconda  della trilogia Agamennone, Coefore, Eumenidi, dove l’incontro di Elettra e Oreste presso la tomba di Agamennone consente ai due fratelli che per molti anni erano stati lontani dopo l’uccisione del padre Agamennone da parte della moglie Clitemnestra, madre di entrambi, di riconoscersi tramite tre indizi, una ciocca di capelli tagliata e deposta sulla tomba, le impronte dei piedi e, ultimo indizio determinante, una fascia tessuta e ornata da disegni. Alla sorella ancora incredula ed esitante Oreste ribatte: “guarda questo tessuto, opera della tua mano, e i colpi di battente e le figure di animali” (vv. 231-234).