di Matteo Caputo
C’è sempre un momento nella vita di ogni uomo in cui si è costretti a fare i conti con la propria mediocrità. Non una mediocrità assoluta, s’intende, perché nulla in un uomo, nemmeno il peggiore dei difetti, è assoluto. Ma semplicemente il senso inaccettato del limite. E questa sensazione non risparmia nemmeno Ulrich Borromini, protagonista di La frattura spontanea della simmetria.
Classe 1957, diplomato al conservatorio e laureato in filosofia, Borromini è un uomo di mezza età, sposato, depresso e, soprattutto, morto. Il che non sarebbe un problema, se non fosse per il fatto che è lui stesso a raccontarci la propria vita: ma la letteratura dà possibilità che la realtà non è in grado di offrire e giustamente Papagni ne approfitta per darci un esempio di ‘narrazione postuma’ (rubiamo l’etichetta a Riccardo Castellana), inserendosi in una lunga tradizione di autori che hanno dato voce a gente che non avrebbe più potuto averla.
Non a caso la prima parte si intitola Dopo che me ne fui andato. Siamo alla fine di aprile 2019 e il protagonista racconta di come lo abbiano raggiunto le tenebre abbaglianti della morte. Risaliamo lungo il suo albero genealogico, il nonno da parte di madre austriaco e nazista, la famiglia borghese, la moglie comunista, l’inutile scavo psicanalitico – almeno fino alla scoperta di Lacan. Scrittore di successo, dopo la pubblicazione dell’ennesimo libro gli si dischiude, grazie ad un invito come docente all’Università, il Giappone, che lo affascina e gli consegna un mondo alternativo al quale potersi aggrappare, un mondo che ritorna più volte a contrappeso delle manifestazioni dell’Occidente.
Con un vorticoso salto indietro nel tempo torniamo al 1986 – quando inizia la seconda parte, quella che più abbiamo apprezzato. Disarcionato dal cavallo delle illusioni della lotta politica degli anni ’70 e sordo al consiglio senecano che invita a cambiare sé stessi piuttosto che il cielo sotto al quale si vive, Borromini ci mostra come la propria depressione possieda radici lontane, dal fallimento politico e personale, all’inquietudine di una ricerca senza fine di sé e di un posto che questo Io possa accogliere, al difficile rapporto con le donne.
Sballottato tra il cinismo e l’elegia, per riprendere, come fa anche l’autore, Cioran, Ulrich guarda e costruisce (o distrugge?) la propria vita attraverso la filosofia, finendo per raccontarci «la vicenda di un erramento, di un autoinganno della coscienza, dell’essere dimenticato». E dunque forse faremmo bene a dar ragione al padre di Addie, la celebre narratrice postuma di Mentre morivo, secondo il quale «la ragione per cui si vive è per prepararsi a restare morti».
Quasi un romanzo del contemptus mundi, si tratta di un libro che, al netto di alcuni refusi e a dispetto del contenuto denso e della straordinaria ricchezza di citazioni e riferimenti, si fa leggere senza problemi, frutto di un Papagni alla ricerca del proprio stile narrativo e indagatore della crisi dell’uomo occidentale contemporaneo.
Antonio Papagni
La frattura spontanea della simmetria
CAPIRE Edizioni 2023
17,50 €