In Narrature

Storia di un baleniere delle Azzorre

di Leonardo Gliatta

Don Pedro Monteiro Pereira era sempre stato sensibile al fascino femminile. Di qualunque stagione della vita. La sua prima donna fu una bagascia attempata dell’Alfama, che lo svezzò a dodici anni: come appariva minuscolo in quel letto gigante con le cortine di pizzo. Le carni ancora sode della buona Berenice, che tutta l’Alfama chiamava Berenice la meretrice – forse fu lei stessa a darsi questo appellativo – lasciarono un marchio indelebile sulla pelle trasparente del giovanotto, che da quel momento inanellò tutta una sfilza di donne mature, molto più grandi di lui, ingegnose nel piacere e prodighe di buoni consigli. Don Pedro divenne così, in poco tempo, famoso tra le case di tolleranza di Lisbona per le dimensioni e la destrezza del suo affare, un ordigno sempre pronto ad esplodere, capace – come si andava narrando – di ore infaticabili di lussuria.

Quando conobbe quella che poi diventò sua moglie, Marta Alvares De Melo, fu costretto ad ampliare i suoi orizzonti. Figlia di un ricco industriale delle Azzorre, socio di maggioranza della prima fabbrica di lavorazione delle pelli di balena del paese, la rampolla aveva appena sedici anni quando conobbe il priapo della capitale. Erano gli anni sessanta, Don Pedro era andato a studiare biologia marina a Ponta Delgada, sull’isola maggiore delle Azzorre, Sao Miguel.

Un suo zio prete lo riuscì ad iscrivere in un collegio di gesuiti, dove, per mantenersi agli studi universitari, prestò servizio come educatore per le matricole. Molte furono le leggende che si diffusero tra i giovani azzorrian: l’educazione che impartiva quel ruvido lisboeta serviva più di tanti libri e punizioni. Anche qualche padre gesuita si racconta che passasse notti insonni tra le lenzuola di Pedro.

Sao Miguel, d’altronde, era rinomata per essere un paradiso in terra, vi crescevano piante e fiori rari, indigeni. Il campus dell’Università era tutto un tripudio di palmeti, vegetazioni autoctone, fontanili, cascate, giardini pensili.

Il futuro don Pedro all’ultimo anno della sua segnatura, prima di diventare biologo marino, iniziò a lavorare per un centro di ricerca e osservazione della fauna marina, sull’isola di Faial, all’epoca punto d’approdo dei mercantili e navi da crociera che solcavano l’Atlantico. Horta, la città più grande, aveva stregato il giovane dalla terraferma, per quell’aria di struggente malinconia che si portava addosso. Rifugio dei vagabondi del mare, tutti facevano una sosta al Peter’s Bar, frequentato da gente di ogni risma, ma accomunata da un sentimento di perdita che si leggeva negli occhi brumosi e disperati. Pedro quando non lavorava si gettava al porto grande, sulla marina, e si mischiava al popolo del mare. Uomini che viaggiavano soli, calzavano sandali. A volte, raramente, si accompagnavano a donne ossute. Con i loro capelli corti, rigidi di salsedine, erano donne che non parlavano, che mai fiatavano. Da Peter bevevano gin, anice, liquori, birra, perché ai loro uomini, che bevevano un po’ di tutto, piaceva vederle bere. Pedro incontrava ogni sera un pezzo di mondo, ascoltava storie tristi, prendeva parte a risse di ubriachi, i coltelli venivano estratti per una parola fuori posto, per uno sguardo avventato.

Più di tutti, gli piacevano i marinai appartati, in un angolo del bar, che scrivevano cartoline alle loro donne, e le lasciavano lì, su una trave marcita appesa su un fianco del locale.

Quella storia delle cartoline postali mai spedite, ma scritte con trasporto e raccoglimento, lo impressionava. Osservava le facce di questi uomini che non si radevano da giorni, con dita sempre troppo grosse, con unghie spesse e falangi nodose, indurite dal lavoro con le corde e i remi. Dita grosse, una scusa che può venire in aiuto, quando per anni non hai scritto alla famiglia.

Un giorno si trovò a parlare con un uomo alto, segaligno, ben vestito, una pipa al lato della bocca, che di tanto in tanto rimestava il tabacco bruciato con uno spadino metallico. Tirava lunghe boccate e ne offrì a Pedro, aveva un accento isolano, non era uno di passaggio.

“Ti vedo spesso, qui sul molo.”

Pedro raccontò di sé, le sue origini, biologia marina. La sua passione per la gente dell’Atlantico.

“Un altro romantico. Poi si finisce come me, con una pipa di fronte all’oceano. Ti deluderà, ma nessuno di questi marinai ha nostalgia, di niente e di nessuno.

Il mondo per loro è un lungo e solenne dimenticatoio. Vagano per i venti e le acque del mondo come se scappassero da una malattia contagiosa. Ritornano al punto di partenza solo perché la terra è rotonda e il mare è la strada che li porta in circolo. Viaggiando da soli, quello che li tormenta non è la paura della solitudine o il tedio dell’azzurro immenso, ma la mancanza d’amore.”

Quell’uomo si presentò: Achille Alvares de Melo. Era il titolare dell’industria che faceva mattanza di balene. Tanto aveva sentito parlare di lui, al centro di ricerca. L’uomo che andava fermato, il Golem, l’Hitler dei cetacei, lo spietato assassino di creature marine.

Che fumava la sua pipa perso nella linea dell’orizzonte.

Venne di soppiatto una fanciulla, lo chiamò da lontano, mentre scendeva dal barrio alto.

Gli corse incontro e l’uomo l’accolse tra le sue braccia.

“Questa è mia figlia Marta.” La ragazza aveva una gonna a pois, rossi e bianchi, due ginocchia tonde e delicate, una voglia sulla coscia sinistra, a forma di cuore.

Pedro, nei giorni successivi, non capiva perché con la mente non facesse che tornare a quella visione, di quella voglia scura sulla pelle leggermente abbronzata. E come si eccitava, al pensiero di metterle la mano sopra, e spingersi tra quelle cosce tenere. Per la prima volta, era attratto da una non ancora donna.

Pedro vinse rapidamente le sue e le resistenze dei colleghi biologi, e convolò a nozze con la figlia dell’industriale salazarista, divenendo così il socio di minoranza della impresa di famiglia.

Dal preservarle a dare loro la caccia, le balene atlantiche dovevano sentirsi abbastanza tradite, un cambio di rotta del genere, eppure loro, se ne intendevano, di rotte invertite.

Il grasso di balena era sempre più richiesto in tutta Europa, usato per prodotti cosmetici, e per molte finiture dei tessuti.

L’attività, a metà anni sessanta, era la più fiorente e redditizia delle Azzorre. Pedro, dopo pochi anni, fu insignito di onorificenze al lavoro dai più alti ranghi militari della capitale, per aver dato lustro all’impresa delle isole e rilanciato l’occupazione in quei territori a cui la dittatura teneva moltissimo.

Gli altri fratelli di dona Marta, quando le Azzorre persero la loro centralità nelle rotte oceaniche, e iniziarono un lungo periodo di declino, preferirono cedere la loro quota al cognato intraprendente, e emigrare in Canada, o nelle Americhe.

A Horta rimasero don Pedro, donna Marta e i primi due figli, Joao e Ana, nel loro quintal di campagna, una enorme residenza con animali di ogni specie.

Le fortune della famiglia De Melo, allargata a Monteiro Pereira, rovesciarono in poco tempo. La rivoluzione dei garofani, e ancora più incisivamente l’adesione del Portogallo alla legislazione internazionale di proibizione della caccia alla balena, segnò il momento di svolta nella vita della famiglia, che nel frattempo era arrivata a quota sei. Si erano aggiunti il padre di Alex, Mateus, terzogenito, e lo zio Eusebio, nati entrambi a Lisbona, dove Pedro aveva fatto costruire il palazzetto a tre piani nel quartiere di Tiradentes.

Ultimo arrivato, quando ormai dona Marta era in là con gli anni, lo zio Pedro segundo, che però morì di meningite quando era ancora bambino.

La fabbrica a Porto Pim, nell’amata Faial, fu chiusa, restaurata e trasformata in un museo. Che, vendetta della storia, assunse il nome di “centro scientifico”, con una esposizione permanente dedicata alla biologia delle specie processate in quel luogo.

Con gran sadismo del destino, i suoi ex colleghi dell’osservatorio marino si associarono in una cooperativa e rilevarono la fabbrica, organizzando conferenze e seminari sulla relazione tra l’uomo e il mare.

Don Pedro, dopo avere perso nel giro di pochi anni l’impresa di famiglia e tre dei suoi figli maschi, prima Pedro segundo, poi Mateus e infine il promettente Eusebio, si consumò nelle viscere e nello spirito, dopo avere imprecato tutti i santi, bestemmiato tutte le madonne e dato alle fiamme il crocifisso ligneo del Settecento che aveva portato dal quintal di Horta.