In Appunti di Lettura

Ulisse? No, grazie.

di Massimo Iovinella

Se nella tua bolla un “pazzo” mette su un gruppo per leggere non un romanzo ma Il Romanzo e cioè l’Ulisse di Joyce, allora stanne alla larga.

Se quel “pazzo” però è Demetrio Paolin, allora seguilo.

Ed è stato così dunque che, accogliendo il folle e lucidissimo invito di Demetrio Paolin, ho letto, nel centenario dalla pubblicazione, l’Ulisse.

Che non rileggerò mai più.

Ma sul cosa, e cioè sul romanzo, ci torno dopo.

Prima, un passaggio sul come e cioè circa l’esperienza della lettura di gruppo.
Se uno dei temi, o Il Tema, del romanzo di Joyce, è il nostos, posso dire che il nostos di gruppo attraverso le pagine del dublinese-triestino è stato affascinante, a volte (e per fortuna) dialetticamente burrascoso, proprio come un mare procelloso, sempre stimolante e divertente.

Il merito principale va a Demetrio Paolin che ci ha messo, come in ogni cosa che fa, dedizione, conoscenza, simpatia, pazienza. E le sue idee, sempre. Oltre a una passione assoluta per questa opera (per lui è stata la terza lettura integrale: vabbe’, ognuno ha le sue ossessioni, e non saremo noi a giudicare).


Ma anche il miglior comandante nulla può senza un valido equipaggio, e posso dire di aver avuto la fortuna di dividere il nostos attraverso la Dublino joyciana con fantastici compagni di viaggio, ciascuno portando un suo personale e interessante punto di vista su un’opera che, ontologicamente, è iperstratificata e aperta e che dunque naturalmente si presta a n letture (ok, ho messo due avverbi in mente in due righe successive, scusa Stephen! Dedalus? No, King).

In un gruppo c’è sempre poi un cazzone che straparla, e pertanto mi scuso pubblicamente con tutti, ora per allora

Veniamo dunque al cosa e cioè all’Ulisse, di cui dirò pochissimo per manifesta indegnità.

Premessa: l’ho letto nella traduzione di Celati, dunque senza note.

Il che è una follia nella follia: perché, ritornando al concetto di nostos, è come navigare sotto costa di notte, senza luna né stelle né bussola né carte nautiche, senza mai essere andato prima per mare. Praticamente un suicidio.

Che ovviamente consiglio.

Perché l’assenza di note mi ha portato a essere davvero solo davanti al testo e dunque a concentrarmi, per quanto le mie capacità mi consentivano, esclusivamente su di esso.

Facendomi perdere la quasi totalità, il che è paradossale, dei rimandi e delle citazioni e dei calchi (a volte volutamente errati); ma consentendomi di cogliere forse meglio, non dovendo procedere a soventi interruzioni della lettura per andare alle note, il grande ritmo della pagina di Joyce.


Non starò a parlare di lingua, di struttura, di personaggi, di registri o dei singoli capitoli: cosa potrei dirvi rispetto a quanto detto da Demetrio Paolin negli appunti da lui scritti e pubblicati su Lettera Zero e che vi invito a leggere? Nulla.

Un’unica menzione sul cap. XVIII o anche detto Molly: un capolavoro, incastonato in un’opera monumentale.

Apparentemente non punteggiato, è in realtà dotato di una partitura magistrale (benché appunto non riportata graficamente), e mi è risultato il capitolo di più facile lettura.

Esperienza di lettura che va ASSOLUTAMENTE fatta: se non vi va di sorbirvi i precedenti 17 capitoli, no problem, andate su Wikipedia e leggetevi il riassunto. Ma poi comprate l’Ulisse e leggetevi Molly (sembra un consiglio per gli acquisti. E lo è).

Ne è valsa la pena leggere questo romanzo?

Non lo so: è un’opera che lascia meravigliati e annichiliti per alcune pagine e passaggi di bellezza davvero iperuranica, dalle quali emerge la grandezza immortale di Joyce.

Allo stesso tempo è un testo respingente, principalmente per il fatto che Joyce esagera, continuando ad accumulare e a rimandare e a calcare oltre il necessario, generando la sensazione (almeno in me) di un dialogo in vari frangenti ripiegato all’interno tra Joyce stesso e il suo testo, come di una sfida all’ultimo sangue da cui nessuno uscirà vivo: non l’autore, non il romanzo, certamente non il lettore.

Un testo Doctor Jekyll e Mr. Hyde: corporeo e viscerale negli strati superficiali della crosta e dunque apprezzabile istintivamente da un vasto pubblico (quale lettore, anche il più debole, non riderebbe o si esalterebbe davanti ad alcune scene?); erudito e citazionista/ criptocitazionista invece più ci si avvicina al nucleo e dunque riservato a pochi (“skillati”* o comunque a coloro che accettano/ desiderano di studiarlo con un approccio da entomologo).

*skillati è termine che ho usato unicamente per far imbufalire Demetrio, perché so quanto gli piace!

Quale delle due anime prevale, in fondo? Credo questa seconda.

Ed è ciò che, a mio avviso, rende l’Ulysse il romanzo da cui tutti sono attratti e da cui moltissimi fuggono. 

Per finire, dunque, la fatidica e inevitabile domanda:

Ulisse? Sì, grazie**.

**grazie, ma è come certi posti: bellissimo per carità, ma non ci vivrei (cioè letto una volta, basta. Ma se proprio volete rileggerlo, dalla seconda volta fatelo con le note)