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Attraverso l’abisso delle parole: l’incanto settennale del Salone di Lagioia

di Giovanni Morese

Il Salone Internazionale del Libro è, da sempre, un crogiolo di contraddizioni e sfide, una sorta di universo alternativo in cui l’arte e il commercio, l’innovazione e la tradizione si incontrano, sfidandosi in un’armonia incerta. È come uno specchio, attraente ed ingannevole, che sempre più persone sentono l’urgenza di dover attraversare. In questa danza meravigliosa e talvolta sconcertante, il SalTo incarna la nostra essenza di lettori ed esseri umani, costantemente sospesi tra la ricerca della bellezza e l’esigenza di dare voce alle inquietudini più profonde.

La storia del Salone Internazionale del Libro si intreccia, quindi, con la trama stessa della letteratura contemporanea. È un viaggio di scoperta e sfide, di passione e visione, che ha di fatto ridefinito il panorama culturale italiano fin dalla prima sua edizione nel 1988 e che, con il trionfante uscita di scena di Lagioia di quest’anno ha espresso e, forse, contraddetto come non mai le sue aspirazioni e i suoi limiti.

A partire dal 2017, lo scrittore del pluripremiato La ferocia, adottando un approccio galvanizzante, ha affrontato diverse tempeste del tempo e rocambolesche sfide dell’era digitale. Navigando come un contemporaneo Ulisse ed una curiosa Alice, l’ex direttore ha risvegliato la vitalità di una città che aveva temuto di perdere il suo status di centro letterario. Ospitando di anno in anno scrittori di fama internazionale, Lagioia ha affiancato loro voci emergenti che hanno risuonato come colpi di tuono, riflettendo la natura transmediale dello storytelling di oggi e avendo, allo stesso tempo, l’ardire di scavare nella polvere di storie dimenticate, resuscitando in questo modo personaggi dalle voci sopite in un’armoniosa atmosfera pluralistica.

Un percorso controverso, complesso, con momenti di crisi come quelli del Covid-19, in cui le pagine dei libri si sono trasformate in ponti immaginari verso mondi lontani. Quella di Lagioia è stata, però, anche la kermesse della polemica, tra dichiarazioni sessiste vecchie di vent’anni resuscitate dalle reti generaliste e la recente polemica sulle contestazioni alla Ministra Roccella che ha confermato la natura libera, multiforme ed apolitica di questo spazio culturale.

Insomma, un viaggio sempre più chiacchierato che ha reso i lettori veri guardiani e custodi delle parole di questa narrazione: nel virtuale, tra post e stories di Instagram davanti all’iconica torre dei libri e il fenomeno #BookTok che ha toccato quota 140.4 miliardi di visualizzazioni; in presenza, con l’eccezionale record di 215.000 biglietti strappati.

Una grandezza, quella di questa edizione, preannunciata, bramata, studiata. Un commiato immenso, a tal punto da disorientare e confondere. Un SalTo23 che ha fatto, per certi versi, perdere di vista la vera tana del Bianconiglio, ciò che rende la letteratura intima e preziosa. Quella che richiede tempo, riflessione, un ascolto attento. Quella dell’intreccio di conversazioni che vanno al di là delle mode e dei clamori. Ma il Salone è questo: un’autentica e delle volte contraddittoria occasione di sfida verso paradigmi consolidati e la direzione di questi ultimi anni ha pienamente rappresentato – e con indubbio successo e clamore – la sua naturale continuazione.

E così, come tutte le storie in divenire, il nuovo capitolo Benini, così potenzialmente diverso da quello appena concluso, dovrà guidarci tra gli intricati sentieri del tempio della scrittura, aprendo porte verso mondi ancora inesplorati.

Con incertezze, riflessioni sugli spazi ormai insufficienti ed aria di costante mutamento, la speranza nei nostri cuori selvaggi è che continui ad essere un luogo di incontri e scontri, di dibattiti e scoperte, di trasformazione e trasgressione; un faro per gli amanti dell’editoria, un’ancora per gli spiriti erranti. Che rimanga il solito Salone: un enorme, confusionario e mutevole caleidoscopio di emozioni pronto a spingerci ad esplorare i confini oltre lo specchio del nostro, nebuloso, domani.