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Siamo tutti Sconosciuti Superstar – Umberto Mentana intervista Angelica

Angelica, al secolo Angelica Schiatti, inaugura la sua avventura solista nel 2018, con la pubblicazione dei singoli che precedono la release dell’album “Quando finisce la festa” (2019), che riscuote ottimi feedback di pubblico e critica, portandola a esibirsi nei principali club e festival italiani come MI AMI 2019, Home Festival e Zoo Music Fest. Nello stesso anno viene scelta per aprire il tour italiano di Miles Kane, cantautore inglese e co-fondatore, insieme ad Alex Turner, dei Last Shadow Puppets. A novembre 2019 collabora con l’attore Giacomo Ferrara (lo “Spadino” della serie Suburra) per il singolo “Vecchia novità”. Nel 2020 pubblica i singoli“C’est Fantastique”,“Il momento giusto”e“L’ultimo bicchiere”, trittico di brani che anticipa la pubblicazione, a febbraio 2021, di “Storie di un appuntamento”, album intimo, potente e allo stesso tempo leggero. Nello stesso anno i brani “De Niro’e “Karma” vengono inseriti nella serie“Guida Astrologica per cuori infranti”(Netflix) e nel film “Ancora più Bello”. Nel 2023 Angelica ritorna con i singoli Milano Mediterranee, SOS, Bye Bye e La mia metà che la portano ad esibirsi a MI AMI 2023 e durante la Milano Music Week. Lo stesso anno apre i live di Franz Ferdinand, Wilco ed Alan Sorrenti, in un tour durato tutta l’estate. L’8 Marzo 2024 è uscito il suo ultimo disco “Sconosciuti Superstar”.

Noi di Lettera Zero abbiamo avuto l’opportunità di fare questa chiacchierata con lei e per questo la ringraziamo per l’opportunità e rivolgiamo i nostri più sentiti ringraziamenti anche alla sua agenzia RC Waves

U.M. Angelica, benvenuta su Lettera Zero. È un piacere inaugurare con te la sezione interviste della nostra rubrica Thema di Berio. La tua musica è adattissima a comparire tra i primi contenuti di questa rubrica proprio per il carattere riflessivo, o meglio, autoriflessivo, delle tue canzoni. Da dove partono, da dove nascono?

A. Grazie mille per l’invito!

Le mie canzoni nascono da un’esigenza di far dialogare pancia e cuore con testa e bocca, banalmente di dare una forma a quello che sento e a come mi sento, di raccontare, prima di tutto a me stessa.

U.M. Parliamo della tua ultima creazione, Sconosciuti Superstar, che sta avendo davvero un ottimo riscontro, penso in particolare al singolo Acqua Ossigenata. Questo album ti rappresenta molto di più rispetto ai tuoi precedenti lavori, possiamo dire che Angelica “back in blonde” (o meglio, blondie?). Dal punto di vista dei suoni, ho percepito una ricerca più marcatamente synth-pop 80s rispetto ai riferimenti di melodie, riff anni Settanta più essenziali, intimi di alcune canzoni precedenti come De Niro, C’est fantastique, Beviamoci. Mi confermi questa tua scelta di aver mutato e trasformato un po’ il tuo sound per questo disco? È stata una scelta voluta che anche la tua immagine “pubblica” in un certo senso ne risentisse di questo cambiamento ? Penso, per esempio, di nuovo al passaggio “mora-bionda” ma anche al taglio e ai colori degli abiti che risultano essere più, diciamo, barocchi rispetto all’essenzialità delle cose che hai fatto in precedenza.

A. Per questo disco mi sono voluta divertire, o meglio, è cominciata la genesi in un momento talmente pesante che quindi faceva nascere di conseguenze l’esigenza di divertirmi, di prendermi meno sul serio, di vivere una leggerezza che poi è stata propedeutica per riuscire ad affrontare la scrittura di tematiche molto difficili per me da accettare, seppur vestite di synth, di melodie pop e di capelli biondi.

I capelli biondi per me che sono nata coi capelli scurissimi, rappresentano la liberazione totale dagli schemi e l’allontanamento dal passato per vedere tutto da un’altra prospettiva, guardare sempre lo stesso panorama, dalla stessa finestra, dopo un po’ può diventare limitante no?

Gli altri due dischi li ho concepiti e registrati a Milano, questo disco invece è figlio di Bologna, Milano e Roma, figlio dell’autostrada A1 e dell’alta velocità.

U.M. Chi sono questi Sconosciuti Superstar?

A. Siamo tutti noi, chi più chi meno, è questa società.

C’è chi si sente Superstar dopo un solo flash di luce puntata addosso e chi si sente Sconosciuto e frustrato per aver assistito a quel flash senza esserselo sentito proprio. Pur di avere un po’ di luce vedo tanti tacere la propria natura ed assumere atteggiamenti che nel pezzo chiamo “democristiani”, per intenderci.

Diciamo che i 15 minuti di fama di Andy Warhol oggi sono diventati 15 secondi.

Per me sono solo il tempo e la bontà di quello che si fa che contano.

U.M. Le tue canzoni, e questo ultimo disco non fa eccezione, sono davvero canzoni non facilmente “digeribili”. Nel senso che ci dai un bel pugno nello stomaco con le tue parole, nonostante sei sempre delicata nel suonarle e cantarle. Le tue parole sono potenti, forti e tristemente malinconiche, impregnate di solitudine. Ad esempio nella title track del tuo ultimo lavoro ci canti così: “Ci si rivede quando il mondo finirà/Come due mani incastrate dentro ai jeans/Cercasi emozioni perse in mezzo alla routine.” Mi racconti qualcosa di più su questa scissione, che io ritengo di grande importanza?

A. È un po’ una sfida, cioè, ci si rivede alla fine del tragitto e vediamo chi aveva ragione. Mi ritengo ancora giovane ma allo stesso tempo ho accumulato una prospettiva temporale diversa da quando avevo 20 anni, ho capito tante cose, ho assistito a miracoli insperati operati naturalmente dal tempo.

Sto lì ad aspettare, ne ho viste tante, stare fermi non significa però essere “incastrati”, significa fare il proprio percorso ma avere dei punti cardinali fissi.

A me diverte dire cose poco digeribili con voce delicata, rappresenta molto la mia personalità, sono morbida e buona e non attacco mai per prima ma divento la più agguerrita quando mi devo difendere, passo al contro attacco.

La solitudine che percepisci credo derivi dal fatto che la maggior parte disco l’ho scritto da sola nel mio studio.

U.M. Inoltre, questo metodo di ibridare due direzioni opposte, quella delle parole e quella della musica lo ritrovo molto ricorrente fin dagli Smiths ma se vogliamo citare un esempio del pop nostro contemporaneo, anche Billie Eilish utilizza qualcosa di simile. Lei ci parla in modo molto diretto, dandoci davvero dei calci nella pancia. Cosa ne pensi?

A. Io penso alla voce come uno strumento che fa parte dell’arrangiamento di un pezzo, non ad una cosa a sè stante appoggiata sopra, sia per quanto riguarda il suono della voce che le parole intese come significato e significante.

Sia gli Smiths che Billie Eilish sono tra i miei ascolti, possibile che mi abbiano influenzata.

U.M. Senti, sempre in Sconosciuti Superstar si ritrova molte volte questa metafora dell’acqua, dell’annegare, è un disco “liquido” che ti scivola addosso, anche ritmicamente. È voluto inserire in più di una canzone questa sorta di sottotema ricorrente? Se non sono troppo indiscreto, quanto questa malinconia, questa solitudine presente nelle canzoni ci parla di te? Oppure tu canti riferendoti a personaggi esterni, vicende da cui eri attratta e ne volevi raccontare in forma canzone?

A. Mi fa piacere che tu abbia notato questa cosa, l’acqua per me è un tema molto importante, rappresenta il mio inconscio, la sogno spesso. È un termometro di come sto, se è pulita o torbida se è calma o agitata, se ci nuoto o ci annego. Nessuna canzone in questo disco (in quelli passati sì) non parla di me, sono tutte molto autobiografiche, fin troppo. Ho aperto un vaso che ora sarà difficile richiudere, sto già scrivendo molto per il disco nuovo.

U.M. Noi di  Lettera Zero siamo molto attenti alle parole, alla loro funzione e a come queste, utilizzate nel modo giusto, rendano potente una narrazione. Proprio per questo ho trovato molto interessanti i numerosi giochi di parole che proponi nei tuoi testi, oltre a tantissimi riferimenti alla pop-culture (ritorno su una delle mie preferite, ossia De Niro: “Mi guardo allo specchio imitando De Niro in Taxi Driver” e “Voglio restare a letto/Con te, senza parlare troppo/Fare un Bed-in come Yoko”). La tua è una scelta stilistica operata in base al sound, al suono che queste parole, queste lines già in sé contengono e che potrebbero funzionare in una canzone o è qualcosa di diverso?

A. La cultura pop mi piace, tanti miei riferimenti artistici sono pop e penso che il pop fatto bene sia tra le cose più difficili da fare.

Nel caso da te citato, quella strofa mi è uscita di getto, un po’ suonava bene, un po’ la sentivo mia e un po’ avevo visto Taxi Driver la sera prima…

In De Niro gioco molto con la self confidence, essendo di natura insicura, arrivare a essere sicura di me e delle mie scelte è stato un percorso travagliato e De Niro si inserisce in un momento chiave di presa di coscienza dei miei mezzi, da sola al pianoforte, quasi giocando.

U.M. Una cosa che da tanto sono curioso di conoscere è il tuo metodo compositivo. Mi racconti, anche per far conoscere ai nostri lettori, come costruisci un disco? Hai una squadra fissa oppure anche in rapporto ai tuoi lavori precedenti hai cambiato qualcosa nel tuo approccio metodologico alle canzoni e al gruppo di persone che ti accompagna?

A. Mi piace cambiare perché fare i dischi è un lusso e non so quanti ne potrò fare nella vita.

Scoprire nuovi metodi di scrittura e di produzione, nuove persone con cui condividere la mia musica, è anche un modo per trovare nuovi stimoli.

Rispetto ai lavori precedenti, in questo lavoro ero più consapevole, vuoi per l’esperienza che ho in più, vuoi per una maggiore dedizione che ci ho messo; sono curiosa di scoprire come sarà il prossimo disco perché sento di aver raggiunto un equilibrio che mi piace molto.

U.M. Parlando un po’ di te, Angelica. Oltre ad essere una bravissima cantautrice, compositrice, hai anche altre passioni come la fotografia e lavori con il video. Ricordo che sei stata tu stessa a realizzare il  videoclip per il tuo singolo “C’est fantastique”. Ci spieghi un po’ come ti rapporti a queste altre tecniche di storytelling? Quanto sono legate alla tua musica?

A. All’inizio mi sono approcciata alla fotografia, al montaggio video e un po’ alla questione “art direction” per necessità, nel senso che non c’era budget per avere figure che lo facessero per me ed eravamo in pieno primo lockdown quindi fare un videoclip era impensabile. Dopodiché ci ho preso gusto, ho iniziate a fotografare amici e amiche, luoghi a me cari, ho imparato ad usare una reflex manuale analogica che avevo a casa e ho capito che è un modo di esprimere la mia creatività che mi soddisfa molto, costruire immagini, sia per me che per altri, mi diverte tantissimo.

U.M. Angelica, io come te sono un super beatlesiano, credo che quelle dei Beatles siano state le prime canzoni che io abbia ascoltato nella mia vita, e per fortuna. Perdonami la curiosità ma voglio sapere la tua su di loro. Per aiutarti: Lennon o McCartney (o George o Ringo)? La tua top 5. E dimmi perché, anche brevemente. Altrimenti vai a ruota libera!

A. Ahiaaaa!

Che dolore dover scegliere, quando scelgo qualcosa in campo Beatles dico sempre che la mia scelta è una fotografia di questo momento preciso, domani potrebbe cambiare.

In questo periodo sono più McCartney (pure wings ecc ecc) anche se sono stata Lennoniana convinta per una vita.

5 titoli di pancia Beatles e non: yes it is, temporary secretary, love, blue Jay way, happiness is a warm gun. La discografia dei Beatles (anche solisti) è la mia bibbia da consultare quasi quotidianamente, è un percorso di studi che penso sia obbligatorio per fare musica. 

U.M. Ci sono altri modelli ispirazionali per il tuo lavoro? Oppure per ogni disco sei influenzata da qualcuno, qualcosa in particolare? Cioè, è il disco stesso per alcuni versi una conseguenza della tua influenza musicale di in un certo periodo?

A. Quando sto facendo un disco mi ritrovo ad ascoltare principalmente il disco stesso tra la fase di scrittura, di preparazione dei provini ecc ecc, quindi sì, si auto influenza ed alimenta. Però per cominciare a scrivere ed entrare in un flusso c’è una scintilla che deve scoccare e mi deve ispirare, un bel disco appena uscito o un vecchio lavoro da riscoprire, un film, un’immagine. Poi queste ispirazioni devono combaciare chiaramente con qualcosa che ho già dentro, come se mi accendessero.

U.M. Io ti ringrazio davvero tanto, anche da parte della redazione di Lettera Zero, per aver condiviso queste riflessioni con noi tutti. Concludendo, vuoi raccontarci i tuoi prossimi appuntamenti, novità in ballo? E se vuoi, consigliaci qualcosa da ascoltare prima di salutarci!

A. Grazie a te e a voi per la cura e per queste domande così stimolanti!

Sto preparando i live che è uno dei momenti che preferisco, molto concreto, a contatto con la band quindi pieno di momenti divertenti, senza la pressione della scrittura o della produzione. In realtà ho preparato anche un brano nuovo, che uscirà a Giugno! Non mi voglio fermare, sono stata ferma un sacco di tempo (e ho fatto bene!) per fare questo disco che adesso ho proprio voglia di stare sulla strada.

Il comunicato stampa di Sconosciuti Superstar di Angelica: https://www.rcwaves.it/angelica/newsletter30

Link al profilo Spotify di Angelica: https://open.spotify.com/intl-it/artist/3aFnXkfp5Z2Ac9DLorgJ4S?si=422bQj7vTt-nhAdFamLlsw

Link al profilo Instagram di Angelica:

https://www.instagram.com/santangelica

13 Maggio 2024.

In Thema di Berio

A CHRISTMAS GIFT FOR YOU FROM PHIL SPECTOR. 60 ANNI DI RIVOLUZIONE POP – IV e ultima parte

di Alessandro Ciniero

Struttura 

“A Christmas Gift For You” è composto da 13 canzoni, delle quali 12 sono cover di brani storici (composti tra il 1818 e il 1952), più una canzone originale composta da Jeff Barry, Ellie Greenwich e Phil Spector dal titolo “Christmas (Baby Please Come Home)”. 

La tracklist è la seguente:

No.Song TitleArtist
1White ChristmasDarlene Love
2Frosty the SnowmanThe Ronettes
3The Bells of St. Mary’sBob B. Soxx & the Blue Jeans
4Santa Claus Is Coming to TownThe Crystals
5Sleigh RideThe Ronettes
6Marshmallow WorldDarlene Love
7I Saw Mommy Kissing Santa ClausThe Ronettes
8Rudolph the Red-Nosed ReindeerThe Crystals
9Winter WonderlandDarlene Love
10Parade of the Wooden SoldiersThe Crystals
11Christmas (Baby Please Come Home)Darlene Love
12Here Comes Santa ClausBob B. Soxx & the Blue Jeans
13Silent NightPhil Spector and Artists

Commento soggettivo

Immaginate di essere a casa coi parenti la vigilia di Natale. Manca un’ora al cenone. Decidete di mettere un disco natalizio, per questa volta non optate per Michael Bublé. 

“White Christmas” inizia e per la prima volta sentite un backbeat dietro che spinge i fiati a ritmo R&B mentre la voce di Darlene Love si staglia sopra. Tocchi di archi qua e là e campanelle non fanno perdere l’atmosfera natalizia. Non si ha il tempo di capire che sta succedendo quando parte “Frosty the Snowman”. Una batteria roboante, shakers e sonagli non danno tregua, contrastando la dolcezza del pizzicato dei violini e la voce suadente di Ronnie Bennett. Quattro rintocchi di campane ecclesiastiche annunciano “The Bells of St. Mary’s”, il Wall of Sound non fa comprendere cosa sta accadendo là sotto ma sviluppa pian piano la canzone fino all’incredibile climax dove la voce di Bobby Sheen si unisce a quella di Darlene Love, quei fill di batteria ti fanno pulsare l’anima. Un intro parlato di Dolores Brooks che riferisce ad un certo figliolo Jimmy di aver parlato con Babbo Natale e parte “Santa Claus Is Coming to Town” con un assolo formidabile di sassofono e giostrando tra percussioni, giocattoli, pianoforti, tutti che gioiscono con te per l’arrivo del Natale. “Sleigh Ride” usa le percussioni per ricreare il galoppo delle renne mentre i fiati e gli archi vanno in contrappunto. Dopo questo viaggio, un quartetto di archi introduce “Marshmallow World” con due assoli (sax e trombe) e la backing track che parte, si ferma, riparte e con essa il tuo cuore. Dopo aver udito un bacio proibito, “I Saw Mommy Kissing Santa Claus” segue un ritmo quasi da marcia militare mentre Ronnie non si capacita di aver visto sua madre baciare Babbo Natale. Una chitarra doppiata introduce “Rudolph the Red-Nosed Reindeer”, un’opera drammatica a suon di nacchere e timpani. I cori creano una profondità incredibile (tutto in mono). Un intro memorabile apre “Winter Wonderland” con quel basso che viene rinforzato dalle campane tubolari e il piano che risponde melodicamente. Il legato degli archi si mescola col pizzicato mentre tu sei stravaccato sul divano a mangiare l’ennesimo pezzo di torrone. Un’altra marcia militare “Parade of the Wooden Soldiers” con squilli di trombe, uno start and stop che nemmeno le auto moderne hanno, woodblock che richiamano ai soldatini di legno. Tutte queste canzoni già trascorse sono in realtà una preparazione psicologica al capolavoro dell’album. “Christmas (Baby Please Come Home)” è semplicemente incredibile, Darlene Love aspetta il ritorno messianico del suo amato la notte di Natale, un dramma che si consuma in tre minuti e ti porta in alto nel paradiso con un climax da brividi dove pure Leon Russell non si contiene più e picchia i tasti del pianoforte fino a svenire. Non sapete quante volte ho pianto dopo aver sentito questa traccia. Il miracolo si compie, nulla è più come prima. “Here Comes Santa Claus” rassicura l’ascoltatore facendolo tornare sulla Terra rinato. Infine il commiato “Silent Night” dove Phil Spector ringrazia gli ascoltatori e gli augura un buon Natale e felice anno nuovo mentre i cori angelici creano un’atmosfera religiosa e contemplativa.

Impatto ed eredità

Basta ascoltare “All I Want For Christmas Is You” di Mariah Carey per osservare quanto questo disco abbia impattato. La traccia può essere considerata come il più grande omaggio a “A Christmas Gift For You”; la produzione è un Wall of Sound aggiornato agli anni ‘90. 

Ascoltando musica natalizia registrata dopo il 1963, ho notato come gli stili di produzione sono principalmente due: uno che richiama allo swing dei crooner (Bing Crosby, Frank Sinatra, Dean Martin, Michael Bublé) e uno pop-rock nato sostanzialmente con quest’album, diventando un classico ed entrando ogni anno in classifica negli Stati Uniti (posizione no.8 della Billboard 200 nel 2022).

Un altro aspetto da notare consiste nel fatto che “A Christmas Gift For You” è un producer album, un disco non di un artista ma di un produttore che sfoggia i suoi artisti della sua etichetta. Una assoluta novità all’epoca che è diventata pratica comune nella musica contemporanea fatta di produttori-artisti come Phil Spector: alcuni esempi sono “OBE” di MACE e “Produced by Charlie Charles” di Charlie Charles.

Le canzoni più popolari sono “Sleigh Ride” e “Christmas (Baby Please Come Home)”, quest’ultima diventata uno standard a tutti gli effetti a partire dagli anni ‘80. 

Lo stesso Spector co-produsse un’altra leggendaria canzone natalizia: “Happy Xmas (War is Over)” di John Lennon nel 1971. Anche in questo caso, il successo non fu immediato ma postumo. 

Concludo con una frase di Francesco Paolo Ferrotti :”[] forse possiamo immaginare quale sarebbe stato l’impatto se ‘A Christmas Gift For You’ avesse avuto a suo tempo la promozione ed il successo che meritava. Eppure, se fosse andata diversamente, forse oggi non ne parleremmo come di un album magicamente fuori dal tempo, protagonista di uno tra i più leggendari capitoli della storia del rock.”

Conclusione

60 anni dopo la rivoluzione, Cher ha rilasciato il suo primo album natalizio dal titolo “Christmas” debuttando alla posizione 32 della classifica americana. Tra le tracce dell’album c’è “Christmas (Baby Please Come Home)” duettata con Darlene Love. Immaginate queste due ragazzine cantare insieme nel 1963 una canzone nuova, non avendo idea della portata leggendaria che le avrebbe consegnate alla storia. Ora, nel 2023, la ricantano con tutto il peso delle lore vite, in un mondo che cambia ad una velocità disarmante, dove la musica che conta le ha assegnate all’immortalità. 

Grazie a tutti quelli che hanno sopportato le mie fisse su Phil Spector e che sono arrivati fin qui. Buon Natale e felice anno nuovo!

Link utili

Ascolto dell’album su Spotify

https://open.spotify.com/intl-it/album/2kzkwgOFAtRsDsas5Hi0Qu?si=l1X8OttqQkeo4FRYhjv-gA

Ascolto delle sessions 

PHIL SPECTOR / RONETTES – FROSTY & SLEIGH RIDE strings overdub

PHIL SPECTOR  – SANTA CLAUS IS COMING TO TOWN session

Interviste sull’album natalizio

Phil Spector Interview In 1972 Talking About His Christmas Album

DARLENE LOVE remembers the 1963 Philles Christmas recording sessions at Gold Star Studios.

The Wrecking Crew: Phil Spector

In Thema di Berio

A CHRISTMAS GIFT FOR YOU FROM PHIL SPECTOR. 60 ANNI DI RIVOLUZIONE POP – III parte

di Alessandro Ciniero

Registrazione e pubblicazione
Una volta radunati tutti quanti, Phil Spector prenotò lo studio A dei Gold Star Studios a Los Angeles, i suoi studi di registrazione preferiti. La tecnologia all’epoca comprendeva una console di missaggio con 12 input e EQ, delay, un registratore a nastro a 3 tracce Ampex 350 e le celeberrime camere di riverberazione che Phil amava molto. 
Le sessioni di registrazione durarono due mesi, una follia pensando che il primo album dei Beatles, uscito quello stesso anno, fu registrato in un solo giorno. Inoltre ebbe un costo che si aggirava intorno ai 50000 $ (502730 $ nel 2023), una cifra esorbitante da investire in un album all’epoca. 
Inoltre il tutto avveniva tra Agosto e Settembre, nella piena estate californiana. Spector, amante del freddo newyorkese, teneva accesa l’aria condizionata in studio tutto il tempo. 
Leggendo e ascoltando varie interviste di chi ha partecipato alla realizzazione del disco si può notare come le sessioni siano state molto faticose, grazie anche all’estremo perfezionismo di Spector e della sua riluttanza a dare pause (per evitare che i microfoni venissero spostati). Larry Levine :” L’album natalizio è un periodo che non ricordo con piacere. Lavoravo 15-16 ore al giorno ogni giorno”.
Dolores Brooks :”Iniziavo alle 13 e finivo all’1 di notte; all’epoca avevo 16 anni, poteva essere considerato sfruttamento minorile”. Cher :”Stavamo sempre in studio. Tornavo a casa per farmi una doccia e dormire per poi ritornare. Mi chiedevo -Come fanno tutte queste persone più anziane di me a reggere?!-”. 
Darlene Love:” Nonostante eravamo stremati, il disco possiede un’energia incredibile”.
Brian Wilson, compositore e leader dei Beach Boys, tentò di partecipare alle registrazioni, suonando il pianoforte in “Santa Claus Is Coming To Town” ma la performance non venne giudicata positivamente da Spector.
“A Christmas Gift For You” venne rilasciato il 22 novembre 1963. Al primo colpo, questa data può sembrare insignificante, specialmente per gli italiani. Tuttavia, quello stesso giorno, il presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy venne ucciso a Dallas con due colpi di fucile da Lee Harvey Oswald. L’intera nazione entrò in lutto ed i festeggiamenti natalizi furono annullati. L’album vendette pochissimo e lo stesso Phil Spector, poco dopo, lo ritirò dal mercato. 
L’insuccesso dell’album fu il primo colpo d’arresto all’incredibile ascesa di Phil Spector nell’industria discografica. Un secondo colpo più potente arrivò nel 1966 quando il singolo “River Deep-Mountain High” con Ike & Tina Turner, da lui prodotto, fu flop in America, inducendo Phil Spector a chiudere la Philles Records e a ritirarsi temporaneamente all’età di 26 anni. 
Nonostante ciò, “A Christmas Gift For You” iniziò ad essere sempre più richiesto dalle radio e acquisì un status di leggenda tale che venne ristampato dalla Apple Records nel 1972 con il titolo “Phil Spector’s Christmas Album” e ottenendo finalmente il successo che meritava.
Guida all’ascolto
“È possibile trattare dodici canzoni natalizie con la stessa emozione del materiale pop originale di oggi, cantate da quattro dei più grandi artisti pop del paese, prodotte con lo stesso sentimento e suono che si trova nei singoli di successo di questi artisti, senza perdere per un momento il sentimento del Natale e senza distruggere o invadere la sensibilità e la bellezza che circonda tutta la grande musica natalizia? Fino ad oggi, forse no!” 
(“Can twelve Christmas songs be treated with the same excitement as is the original pop material of today, sung by four of the greatest pop artists in the country, produced with the same feeling and sound that is found on the hit singles of these artists, without losing for a moment the feeling of Christmas and without destroying or invading the sensitivity and the beauty that surrounds all of the great Christmas music? Until now, perhaps not!”)
Mai tali parole, scritte da Phil Spector sul retro della copertina del disco, furono tanto azzeccate per esprimere l’obiettivo e la grandezza dell’album. 

Wall of Sound
Precedentemente, ho accennato diverse volte ad un sound distintivo di Phil Spector, parte integrante della sua innovazione, rivoluzione e successo musicale. Tale stile di produzione è stato denominato “Wall of Sound”; in questo paragrafo cercherò di spiegarlo brevemente in maniera esaustiva.
Phil Spector era amante del jazz, del rock ‘n’ roll e di Richard Wagner. Le opere di Wagner sono caratterizzate da complesse texture musicali, orchestrazione e armonie opulente volte a raggiungere un’emozione intensa secondo la sua teoria del “Gesamtkunstwerk” (opera d’arte totale). Inoltre, esse hanno una durata che si estende per diverse ore.
Spector aveva una media di tre minuti per riuscire a raggiungere quella stessa emozione nelle sue canzoni. L’obiettivo era di sfruttare le possibilità sonore e tecnologiche dello studio di registrazione (inteso fino a quel momento come un mero ambiente dove registrare una performance) per creare una inusuale densità e profondità sonora propria della musica sinfonica classica applicata al pop. 
Spector spiegò in un’intervista nel 1964 :”Stavo cercando un sound, un sound così potente che se il materiale non fosse stato il migliore, il sound avrebbe trascinato il disco. Era un caso di aggiungere, aumentare. Tutto è incastrato insieme come un puzzle” (“I was looking for a sound, a sound so strong that if the material was not the greatest, the sound would carry the record. It was a case of augmenting, augmenting. It all fits together like a jigsaw.”)
Egli stesso lo definì come “un approccio Wagneriano al rock ‘n’ roll, piccole sinfonie per adolescenti”. Per ottenere il Wall of Sound, gli arrangiamenti di Spector richiedevano grandi ensemble (compresi alcuni strumenti non generalmente utilizzati per suonare in gruppo, come le chitarre elettriche e acustiche), con strumenti multipli che raddoppiavano o triplicavano molte delle parti per creare un tono più pieno e ricco. Ad esempio, Spector spesso duplicava una parte suonata da un pianoforte acustico con un pianoforte elettrico e un clavicembalo. Mixati in un certo modo, i tre strumenti sarebbero stati indistinguibili per l’ascoltatore. 
Tra le altre caratteristiche del sound, Spector incorporò una serie di strumenti orchestrali (archi, fiati, ottoni e percussioni) non precedentemente associati alla musica pop giovanile. Il riverbero delle echo chambers viene utilizzato per incrementare la profondità dei vari layer sonori e creare consistenza. 
La complessità della tecnica non aveva precedenti nel campo della produzione sonora per la musica popolare. Secondo Brian Wilson, leader dei Beach Boys, che utilizzò ampiamente la formula: “Negli anni ’40 e ’50, gli arrangiamenti erano considerati ‘OK qui, ascolta quel corno francese’ o ‘ascolta questa sezione d’archi ora’. Era tutto un suono definito. Non c’erano combinazioni di suoni e, con l’avvento di Phil Spector, abbiamo trovato combinazioni di suoni, le quali – scientificamente parlando – sono un aspetto incredibile della produzione sonora”.
Il master finale delle canzoni era creato per avere la massima resa tramite le casse delle radio AM, dei jukebox e delle automobili, le quali possiedevano una limitata risposta in frequenza concentrata nella banda delle medie. 
Le tracce erano in mono poichè Phil Spector credeva che lo stereo avrebbe sconvolto quell’equilibrio del mix, riducendo l’impatto sonoro. La stereofonia era ancora agli albori in quegli anni. 
La portata di rinnovamento che caratterizzò il Wall of Sound non fu accettata subito nell’ambiente dei produttori e degli ingegneri del suono. Tuttora, nell’industria musicale, ha una folta schiera di detrattori, grazie anche al paradigma “less is more” che si è imposto come trend nelle produzioni musicali e nel mondo artistico in generale. 
Tuttavia, la sua influenza continua a pervadere il pop e il rock e di ciò parleremo nel capitolo successivo

In Thema di Berio

A CHRISTMAS GIFT FOR YOU FROM PHIL SPECTOR. 60 ANNI DI RIVOLUZIONE POP – II parte

di Alessandro Ciniero

Jack Nitzsche
Jack Nitzsche è stato un prolifico compositore, arrangiatore e produttore musicale americano, nato nel 1937 e deceduto nel 2000. È stato coinvolto in una vasta gamma di progetti musicali durante la sua carriera, spaziando dalla composizione di colonne sonore per film alla collaborazione con famosi artisti del rock.Ha lavorato per la Philles Records, arrangiando quasi tutte le produzioni di Phil Spector, contribuendo a sviluppare il suo sound. 
Tra le sue opere più note, ci sono le colonne sonore di film come “One Flew Over the Cuckoo’s Nest” (Qualcuno volò sul nido del cuculo) e “An Officer and a Gentleman” (Ufficiale e gentiluomo). Ha lavorato spesso con Neil Young e ha suonato la tastiera nei concerti e registrato con i Rolling Stones. Inoltre, ha contribuito alle registrazioni di artisti come Buffalo Springfield, The Monkees e altri.

Larry Levine
Larry Levine è stato un ingegnere del suono statunitense, nato nel 1928 e deceduto nel 2008. È diventato famoso per il suo lavoro come ingegnere del suono presso i Gold Star Studios a Los Angeles, dove ha contribuito a registrare molte delle canzoni più iconiche della musica pop e rock degli anni ’60.
Levine è particolarmente noto per il suo coinvolgimento nelle registrazioni dei brani di Phil Spector. La sua abilità nell’ottenere suoni distintivi e di alta qualità è stata cruciale per il successo di molte registrazioni dell’epoca. Levine è stato anche coinvolto in progetti con altri artisti e produttori, ma è principalmente ricordato per il suo contributo significativo al suono della musica pop degli anni ’60.
The CrystalsLe Crystals sono state il primo gruppo vocale femminile messe sotto contratto da Phil Spector per la Philles Records, per la quale hanno avuto varie hit tra cui “Uptown”, “Da Doo Ron Ron” e “Then He Kissed Me”. 
I membri nel 1963 erano Patricia Wright, Dolores Kenniebrew, Dolores Brooks e Barbara Alston.

The Ronettes
Uno dei gruppi di punta della Philles Records, le Ronettes erano composte da Veronica “Ronnie” Bennett, Estelle Bennett e Nedra Talley. 
Phil Spector era ossessionato con la voce di Ronnie e con Ronnie stessa; i due iniziarono una relazione che sfocerà nel matrimonio (infelice) nel 1968. 
Nel 1963, il gruppo raggiunse la fama con il singolo “Be My Baby”, scritto da Jeff Barry, Ellie Greenwich e Phil Spector. La canzone è diventata un classico della musica pop e ha consolidato la reputazione delle Ronettes.
Altri successi includono “Baby, I Love You”, “(The Best Part of) Breakin’ Up” e “Walking In The Rain”. Il loro stile distintivo, caratterizzato dalla voce potente di Ronnie Spector e dal sound distintivo di Phil Spector, ha contribuito a definire il suono del pop e del girl group degli anni ’60.
Darlene Love
Darlene Love, il cui vero nome è Darlene Wright, è una cantante statunitense nata nel 1941. È stata una delle voci più potenti e distintive nel panorama della musica pop e rock degli anni ’60 e successivi. La sua carriera è stata fortemente influenzata dalla collaborazione con Phil Spector.
Love è diventata famosa come membro del gruppo vocale The Blossoms che ha lavorato spesso come coro per le produzioni di Phil Spector. Ha fornito le voci principali o di supporto per molte canzoni celebri del periodo, spesso senza essere accreditata. Alcuni dei suoi contributi più noti includono le voci principali in “He’s a Rebel” delle Crystals e “Zip-a-Dee-Doo-Dah” di Bob B. Soxx & the Blue Jeans.

Bob B. Soxx & the Blue Jeans
Bob B. Soxx & the Blue Jeans è stato un gruppo vocale progettato da Phil Spector e composto da Bobby Sheen, Darlene Love e Fanita James. Il nome Bob B. Soxx era un nome d’arte per Bobby Sheen.
Il loro singolo più noto è “Zip-a-Dee-Doo-Dah”, una cover di una canzone originariamente apparsa nel film Disney “Song of the South”, prodotta da Spector.

Cher
Incredibile ma vero. Una delle artiste più leggendarie della storia della musica pop ancora in attività ha iniziato la sua carriera a 17 anni come corista per le produzioni di Phil Spector.
Egli considerava la sua voce troppo baritonale per essere inserita in primo piano; nonostante ciò ha prodotto il suo primo singolo da solista nel 1964 dal titolo “Ringo, I Love You” e diede a Cher lo pseudonimo Bonnie Jo Mason. 
Phil Spector, Darlene Love e Cher
The Wrecking Crew
Ultimo tassello ma non di importanza, la Wrecking Crew è stato un gruppo di session musicians statunitense attivo prevalentemente negli anni ’60 e ’70. Questi musicisti di studio altamente talentuosi hanno suonato in un vasto numero di registrazioni di successo, contribuendo a creare alcuni dei brani più iconici dell’epoca. 
Tra i membri più noti della Wrecking Crew c’erano il batterista Hal Blaine, la bassista Carol Kaye, il chitarrista Tommy Tedesco, il pianista Leon Russell, il chitarrista Glen Campbell e molti altri. Questi musicisti erano noti per la loro versatilità e la loro capacità di adattarsi a una vasta gamma di stili musicali. 

Ultimo tassello ma non di importanza, la Wrecking Crew è stato un gruppo di session musicians statunitense attivo prevalentemente negli anni ’60 e ’70. Questi musicisti di studio altamente talentuosi hanno suonato in un vasto numero di registrazioni di successo, contribuendo a creare alcuni dei brani più iconici dell’epoca. 

Tra i membri più noti della Wrecking Crew c’erano il batterista Hal Blaine, la bassista Carol Kaye, il chitarrista Tommy Tedesco, il pianista Leon Russell, il chitarrista Glen Campbell e molti altri. Questi musicisti erano noti per la loro versatilità e la loro capacità di adattarsi a una vasta gamma di stili musicali. 

In Thema di Berio

A CHRISTMAS GIFT FOR YOU FROM PHIL SPECTOR. 60 ANNI DI RIVOLUZIONE POP – I parte

di Alessandro Ciniero

Introduzione
Detesto scrivere e chi mi conosce lo sa bene . I messaggi telegrafici di WhatsApp  sono facilmente riconducibili al sottoscritto e non ho mai portato a termine la sceneggiatura per il film su Phil Spector che vorrei fare. Tuttavia, ho notato un elemento contraddittorio riguardo a questo: possiedo un diario personale che scrivo saltuariamente sin dal 2011; ne deduco che c’è una parte di me dedita alla scrittura. Il problema è la costanza nel farlo, infatti, nel momento in cui mi accingo a scrivere, temendo di non portare a termine questo articolo, mi impongodi fare leva su tutta la mia determinazione per portare a termine questa che, ormai, è diventata una missione. Voglio scrivere un appropriato e intenso tributo a un album di cui in Italia si è sempre parlato poco, sebbene possiamo considerarlo un capolavoro della storia della musica occidentale, una pietra miliare del pop e della musica natalizia: A Christmas gift for you, di Phil Spector.Fino a ora mi sono limitato a dedicargli  qualche contenuto sui social network ma in occasione del sessantesimo anniversario dall’uscita dell’album ho deciso di celebrare come merita questo singolare christmas carrol
Buona lettura a tutti!

Contesto storico e personaggi 
 Il 1963, rappresenta uno spartiacque nella storia della  musica moderna. Il rock and roll arrivò impetuoso, con la sua prima ondata, tra il 1954 al 1960. Una stagione veloce ma che cambiò per sempre l’industria discografica. Per la prima volta, il mercato spostò il proprio focus sui ragazzi e sulla fascia giovanile, fino a quel momento ignorata poiché priva di potere d’acquisto. Appartengono a quel periodo Buddy Holly, Carl Perkins, Jerry Lee Lewis, Chuck Berry, Bo Diddley, Johnny Cash, Eddie Cochran, Little Richard ed Elvis Presley, artisti bianchi e neri che finivano per folleggiare in tutte le radio e le classifiche. 
Tra la fine degli anni ‘50 e l’inizio degli anni ‘60, una serie di tragiche morti, scandali e ritiri coinvolse molti di questi artisti, lasciando così un vuoto da riempire. Tuttavia, i semi della prima ondata rock erano stati piantati e da lì a breve, per la precisione nel 1964, un terremoto chiamato British Invasion (Beatles, Rolling Stones, Kinks, Animals, Who, Dusty Springfield, Donovan, Small Faces, Hollies) sarebbe arrivato a sconvolgere la scena musicale. Per comprendere la portata di questa rivoluzione è necessario fare  un passo indietro nella storia. Qualche anno prima, un produttore discografico sui generis, tremendamente ambizioso e scaltro il giusto,  prese le redini del mercato discografico giovanile dopo il declino del periodo rock and roll. Stiamo parlando di Phil Spector.

Phil Spector 
Nel 1963, Phil Spector appena ventitreenne, era già considerato un genio della scena musicale. In pochi anni aveva prodotto una serie di hit leggendarie e fondato una propria etichetta discografica, la Philles Records, diventandone capo all’età di 21 anni. Il più giovane capo nella storia delle etichette discografiche fino a quel momento. Fu il primo produttore indipendente (assieme al contemporaneo Joe Meek in UK) capace di discostarsi dal rigido sistema del music business di allora in cui il produttore doveva sottostare alle regole delle major labels e alla catena separatista  compositori-produttori-artisti-businessmen.  
 Questa sua indipendenza, gli permetteva di supervisionare l’intero processo creativo di una canzone, dalla composizione fino alla pubblicazione. Ciò gli permise di diventare il primo auteur dell’industria musicale, il primo produttore a concepirsi come artista, sviluppando un sound fuori dagli schemi e influente come non mai. Ma di questo sound parleremo più avanti.
Spector era concentrato nella produzione di singoli e considerava gli album come “due canzoni buone e 10 spazzatura”. L’album era ancora un format relativamente nuovo nel pop e il suo potenziale non era ancora pienamente sfruttato.
Tuttavia, per il Natale del 1963, pianificò il suo progetto più ambizioso, un album natalizio come non se ne erano mai realizzati prima. Un album in cui ogni  canzone avrebbe ricevuto lo stesso trattamento da potenziale singolo di successo.  Per realizzarlo, chiamò all’arrembaggio tutto il personale e gli artisti della Philles Records.
Continua…

In Thema di Berio

Filippo Leroy, chi era costui?

di Matteo Caputo

Non lo so. O, almeno, com’è avvenuto con Carneade prima di leggere I promessi sposi, non lo sapevo fino a quando non ho ascoltato la più recente fatica di Fulminacci. È vero – mi si dirà – Filippo Leroy, quarta traccia di Infinito + 1, ultimo album del cantautore romano, aveva già da qualche tempo anticipato il disco, insieme ad altri brani che con piacere abbiamo ritrovato; eppure sono costretto a fare mea culpa e a confessare di non essermi informato prima (ma soltanto per scoprirlo insieme a voi).

Fulminacci – al secolo Filippo Uttinacci, classe ’97 – è ormai autore piuttosto noto, almeno tra il pubblico giovane, figlio di Spotify e dei suoi Daily mix, e che pure ha ripreso a guardare Sanremo e ad acquistare vinili. Tutte strade attraverso le quali raggiungere il grande pubblico e che il nostro enfant prodige, come è stato più volte definito, ha percorso e continua a percorrere.

(Per i fan: potete saltare il paragrafo che segue) 🡪 Questa notorietà, tuttavia, non ci libera dal tarlo che ci suggerisce di ripercorrere la sua ancor breve e già intensa storia. È innegabile che i centri italiani considerati terreno fertile per gli artisti degli anni ’10 siano Roma e Milano, alle quali va inevitabilmente accostata, per il sottobosco di artisti che continua a far germogliare, Napoli. Il nostro Filippo, figlio artistico della Capitale, non fa eccezione: del resto l’ascendenza musicale romana da cui egli proviene vanta una scuola notevole, che – capostipiti De Gregori, Venditti e Rino Gaetano – spazia dall’ironia di Daniele Silvestri alla languidezza dei più giovani Gazzelle e Calcutta, dalla cura strumentale e alla raffinatezza dei testi di Max Gazzè alla densità poetica di Niccolò Fabi. Ma la lista è lunga e non è il caso di ripercorrerla in questa breve nota: ci basti sapere che da qui (ma non solo) giunge Fulminacci. L’esordio, un’autentica ventata di novità, è La vita veramente, del 2019. Dopo un paio di singoli, fa un passo ulteriore verso la notorietà portando al Festival di Sanremo uno dei suoi brani più conosciuti (e, lasciatemelo dire, più belli), Santa Marinella, che finisce nel nuovo album, Tante care cose, esattamente due anni dopo il debutto. Nel frattempo, esce Aglio e olio, con la quale il cantautore romano, affiancato dalla voce del rapper torinese Willie Peyote, ci conferma quali frutti possano venir fuori dai suoi featuring, portati avanti anche con artisti del calibro di Silvestri stesso e Gazzelle.  

Ho usato una parola impegnativa da sostenere e probabilmente caduta un po’ in disuso, ma, nonostante questo, adatta al caso nostro: cantautore. Forse nostalgica, forse evocatrice di un periodo perduto del nostro recente passato musicale, ma utilissima a noi che, in fondo, Fulminacci non sapremmo dove collocarlo. Sfugge, e tuttavia si fa inseguire. Promette, illude e svia. Quando siamo convinti di afferrarlo, eccolo che scarta di lato e ci costringe a cambiare direzione. Si prende in giro e, facendolo, prende in giro noi, ci smaschera. Al posto di irritarci, però, finiamo per amarlo.

Le due sentinelle poste a guardia della sua creatività, l’ironia e la dolcezza, restano salde a fare il loro lavoro, nessun dubbio. C’erano già in Borghese in borghese e Al giusto momento (da La vita veramente), le abbiamo ritrovate in Tattica e Le biciclette (da Tante care cose) e, a seguito di altri due anni d’attesa – un po’ smorzata da tante uscite intermedie –, eccole che tornano in Ragù e Simile di Infinito + 1. Tra le novità, si consolida il numero delle collaborazioni, con la partecipazione dei Pinguini Tattici Nucleari in Puoi e di Giovanni Truppi – attivo da anni, ma solo recentemente uscito dalla cerchia dei ristretti – in Occhi grigi, rispettivamente seconda e sesta traccia del disco, riuscendo così a far convivere due punti distanti della musica italiana dei nostri anni ’20. 

Fulminacci ci ha ormai abituati al suo impianto strumentale, uno dei più variegati nel panorama della musica circostante, per mezzo del quale egli soffia su tutto il ventaglio emotivo dei suoi ascoltatori: dalla classica ballata da ascoltare affacciati a finestre e finestrini rigati dalla pioggia, al pezzo più frizzante – che di solito è anche quello più ironico – da cantare a squarciagola, al brano davvero pop (scommettiamo su Baciami Baciami in radio e discoteche nei prossimi mesi?), che si connota per la propria, ineludibile funzione commerciale: “Devo scrivere una hit che non è una hit/Sì, per non fare passi indietro e neanche in avanti/E non perdere quel poco di pubblico generalista/Che mi sono conquistato negli anni”.

Allo stesso tempo, attraverso la cura dei testi, ci sta chiedendo di essere ascoltato, di prenderlo sul serio perché sul serio, anche quando sembra giocare, sta parlando. E sta parlando a una generazione che ha bisogno di sentirsi un po’ più viva e meno colpevole, meno chiusa in schemi preconfezionati e disponibili a buon mercato: “Non mi interessano/le tue ragioni, il tuo pensiero artificiale/da dove viene e dove va, /la tua esistenza/è chiusa dentro una prigione culturale:/non ti verrò a trovare”. Una generazione che deve imparare a riportare ogni cosa, soprattutto gli sbagli e le mancanze, a una dimensione più umana, anche perché tutto sommato sbagli e mancanze ci appartengono di natura e ogni sforzo fatto per evitarli è vano (“Tanto il vero nemico è ciò di cui siamo fatti”). 

Il rimedio? Lo dice Fulminacci stesso nelle sempre più numerose interviste: l’amore.

Un amore che si sforza di essere tale anche quando non possiede il pungolo degli attimi eccitanti della vita, anzi, soprattutto nelle sue sbavature, nei suoi momenti di quiete apparente, di sopportazione reciproca. Un modo di resistere e di costruire, insomma, mentre “questi tempi di carta e di fumo” si dissolvono sotto il peso della propria inconsistenza.

Anche stavolta l’attesa della release allo scoccare della mezzanotte non ha tradito le attese.

A differenza mia, che non vi ho più detto chi è Filippo Leroy, Fulminacci ha fatto quello che doveva.

Ora tocca a voi.

Infinito +1

Fulminacci

(Per ora rilasciato solo in digitale, ma presto anche la versione in CD, Vinile e Vinile Deluxe, pre-order a partire dall’11 dicembre)

Etichetta: Maciste Dischi