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Di’ il mio nome

di Giulia De Vincenzo

Gridalo, cantalo! Un nome è soltanto un nome: non può fare alcun male. Le persone, invece, possono.
Anche tu. Eppure non ho mai dimenticato la tua mano, stretta attorno alle mie dita sfuggenti di
bambina ribelle, ruvida, aperta in uno schiaffo sul mio viso incredulo, mentre con la lingua leccavo il
sangue che mi colava dal naso, come fanno certi animali ingenui, sentendovi il sapore di una
maledizione. La mano che un giorno ha sbattuto la porta di casa, iniziandomi a un suono fraterno. Ne
ho conservato il ricordo per sere come questa, quando permetto alla vita di scorrere e riavvolgersi come
la musica nel mangianastri, stesa sul letto in questa stanza a forma di cubo di cui abiterò sempre il
fondo.
Eccomi. Unica superstite di plurime disgrazie. Sono la bambina con il sogno sbagliato, la puttana che ha
osato dire: No! Sono il gatto nero che ti taglia la strada, il gatto nero di me stessa, sono il fottuto
specchio frantumato. Sono quella che porta sfiga. Ho cercato la tua mano su ogni tasto sfiorato, dentro
ogni carezza ricevuta, nel silenzio di ogni stanza vuotatasi al mio passaggio. Ho portato con me l’odore
acre e nauseabondo del tuo sangue maledetto. Ho preteso che altri lo sopportassero, ma era troppo
persino per me, che sono tua figlia. Sono mille volte tua. Per troppo tempo mi sei mancato. Per troppo
tempo mi sono mancata.
Ho riso e poi ho pianto. Ho provato a capire, a lottare. Ho cantato. Ho gridato. Ma senza la tua mano
mi ero persa. E la mano spietata del mondo mi ha strappato le corde vocali e le ha intrecciate per farne
il mio cappio. Ora è lì, che pende dal soffitto. Se tendo il braccio riesco a sfiorarne le fibre, ancora calde
e sanguinolente: è quel che rimane di me. Lo afferro e lo indosso con la solennità di un paramento
sacro. Trascino la treccia infame fino al mare. Ecco, sono già lì, a farmi accarezzare i capelli dal vento
salmastro, anestetizzata dallo sciabordio delle onde. Neanche il battere legnoso delle barche sui sassi mi
infastidisce più. I suoni acuti sono lontani.
Sono finalmente Mia. E rido a squarciagola digrignando i denti. Ma tu non piangere, e non aver paura.
Anche se non ci sono più, di’ il mio nome.


per Mia Martini