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Gian Piero Brunetta su novant’anni del Festival del Cinema di Venezia – III parte

di Umberto Mentana

Ho deciso di scrivere definitamente di ciò tuffandomi ventiquattro ore su ventiquattro quando ho visto i presidenti Cicutto e Barbera inaugurare l’edizione del 2020 con otto direttori di altri festival internazionali venuti a Venezia, ma che non avevano avuto il coraggio di iniziare un programma. Era l’unico festival che, con limitazioni e difficoltà, faceva questo atto di fiducia riguardo al futuro. Proprio questa mi è sembrata una cosa di cui essere molto orgoglioso e da cui partire per tentare di raccontare questa storia; una storia che, essendo molto complessa, doveva essere pensata anche nella sua singolare modularità: stiamo parlando di diciottomila film che passano per Venezia, novanta giurie e premi. Cosa racconto intanto di questo? Devo selezionare delle cose, però alcune cose sono obbligate. La giuria di quell’anno va in qualche modo definita perché, anche se pessima, deve essere ricordata: ha fatto male il suo mestiere, era manovrata, era eterodiretta e voglio che il mio lettore lo sappia. Le Coppe Volpi e i Leoni d’oro vanno messi, ci sono appunto dei passaggi obbligati. E da un certo momento in poi la Mostra non ha solo il concorso, ha altre cose che si aggiungono e nel corso del tempo i direttori arricchiscono con la loro creatività. Da subito, per esempio, c’è il lavoro di Francesco Pasinetti (1911-1949) che era un giovinetto di ventuno anni che, quando vede la sua prima Mostra, scrive tutti i giorni un articolo per sette giornali contemporaneamente. E lo fa per tutta la Mostra, seguendola, non solo facendo la cronaca giornalistica e inventando ogni giorno qualcosa, ma anche consigliando cosa non va bene e cosa si dovrebbe fare. Pasinetti è il primo laureato in Storia del Cinema: la sua è la prima tesi di Storia del Cinema italiano redatta a Padova, quindi ha avuto un ruolo importante. 

    E quali sono i protagonisti del mio racconto? Come li ho scomposti e poi ricomposti insieme? Intanto, i presidenti e i direttori. Per ognuno ho cercato di delineare a tratti le caratteristiche, dando notevole riconoscimento al Conte Volpi ma anche ai suoi collaboratori; sono dell’idea che grandi meriti debbano essere riconosciuti a De Feo che dirigeva e aveva ideato il Luce in quegli anni (Istituto Luce, ndr) e aveva ideato una rivista di spirito internazionale, la Rivista del Cinema Educatore [La rivista internazionale del cinema educatore, 1929, sic]. Grazie a questa, aveva già stabilito rapporti internazionali: era andato in Russia, aveva visto dei film, aveva instaurato rapporti con registi sovietici. Però, rispetto a ciò che avverrà in seguito in base ai vincoli che la Mostra avrà dal 1935 in poi, si pensa a qualcosa che dia l’impressione al mondo (dal punto di vista diplomatico) che si possa creare un luogo aperto, con minimi condizionamenti religiosi e di censura. Dove non ci sono censure, il pubblico che va a Venezia per i primi anni, e soprattutto il primo anno, ha la possibilità di applaudire un treno sovietico in cui ci sono le bandiere che sventolano, e già nel ‘32 ha la possibilità di vedere un amore tra donne in Ragazze in uniforme (1931), un film tedesco con un amore tra ragazze, nel ‘34 ha la possibilità di vedere Estasi (1933), con un nudo di Hedy Lamarr e una scena di sesso, Lamarr che fa il bagno nuda, che corre nuda tra i boschi e tra i prati. Nei primi anni c’è dunque questa libertà che il pubblico percepisce; dal 1935 in poi c’è un maggior controllo con l’istituzione del Ministero della Cultura fascista, con Luigi Freddi che vorrà avere un controllo sulla Mostra. Dal 1938 in poi, le alleanze con i nazisti si faranno sentire, a partire dalla presenza costante di Joseph Goebbels che viene applaudito più volte negli anni dal ‘37 al ‘38 e ‘42. Abbiamo questo tipo d’insieme di protagonisti; poi, a ruota, ne seguiranno diciotto, diciannove con carature diverse, a cui ho cercato di attribuire meriti e limiti nelle Direzioni. Il direttore che ho stimato più (perché ne ho vissuto l’intensità di presenza a Venezia dal 1963 al 1968) è Luigi Chiarini, non solo perché poi ho dedicato la mia tesi a Barbaro (Umberto Barbaro, ndr) e a lui. Mi sono laureato con una tesi su di lui nel ’66, nello splendore della sua Direzione durante la quale faceva scoprire il nuovo cinema di tutto il mondo e facendo incontrare con conferenze stampe ed incontri i grandi registi, come Dreyer o Bresson, Buñuel o Buster Keaton; lui ha dato l’impressione da subito di prendersi carico del cinema italiano, tanto è vero che nei suoi cinque anni di Direzione, per quattro volte, il cinema italiano ottiene il Leone d’oro, cosa non semplice, se non ci rifacciamo ai tempi del fascismo. 

    Dunque, storia dei direttori, storia dei film e storia dell’evoluzione tecnologica. Diciottomila film che mostrano tutta la sua evoluzione dal momento del sonoro – la Mostra ha la fortuna di nascere all’indomani circa dell’invenzione del sonoro – e quindi di captare da quel momento tutte le grandi trasformazioni tecnologiche: già nel 1936-1937 ci sono i primi esperimenti di cinema a colori e poi di 3D. Memorabile l’articolo di Irene Brin che parla delle meraviglie del 3D, di cosa si vede nel ‘38; poi Cinemascope fino alla Realtà Virtuale nell’Isola del Lazzaretto iniziata da Barbera qualche anno fa. Quindi la Mostra di Venezia partecipa ed è testimone dell’invenzione tecnologica, e la sua intelligenza rispetto anche ad altri Festival è quella di aver aperto anche alle piattaforme; non solo sono entrati in concorso alcuni film nati per le piattaforme ma anche hanno vinto, addirittura, il Leone d’oro. Gli ultimi due direttori sono quelli che, a mio parere, hanno rimesso in corsa il Festival per la riconquista del suo diritto di essere il leader tra i Festival. Oggi come oggi non considero Venezia seconda a nessuno, ha riconquistato in pieno il suo potenziale e quello che è curioso è che il luogo in sé è costituito, in grandezza, da quattro campi da calcio, un luogo minimo. Forse, proprio grazie a questa ristrettezza tutto si svolge tra l’albergo Excelsior, il palazzo e adesso anche il casinò; un tempo, si svolgeva tutto dentro l’albergo Excelsior.

La storia del giornalismo a Venezia parte con venti o trenta giornalisti, anche questa è una storia che cerco di raccontare. Oggi ha più di duemila giornalisti iscritti tra tutte le testate, chi ha giornali in rete, chi organizza festival; all’inizio i “padri pellegrini” che sbarcarono a Venezia furono venti, era presente anche una donna che scrive per Il Lavoro di Genova, si chiamava Guglielmina Setti. Io ho anche privilegiato negli anni alcuni critici per la loro intelligenza, per la passione, per troppa libertà anche che volevano apertamente manifestare negli anni del fascismo fino ai primi anni ‘40. Poi la Guerra Fredda ha diviso la critica e quindi ho studiato le critiche del dopoguerra tenendo conto anche delle divisioni ideologiche, ad esempio: se scrivevi per una testata comunista non potevi dire troppo bene per un film americano che ti era piaciuto e viceversa, i film sovietici venivano duramente stroncati da gran parte della critica, ma non dalla critica comunista che -anzi- accusava critica e pubblico di essere ciechi e sordi di fronte alla bellezza dell’ultimo film di Pudovkin o di altri film che arrivavano a Venezia. Quindi la critica cambia acquisendo strumenti nuovi, adattandosi ai tempi e subendo molti condizionamenti: ho potuto raccontare questo anche grazie a Rondi che era come il Dottor Jekyll e Mr. Hyde, era cioè sdoppiato in due. Il suo compito era quello di scrivere delle recensioni, ma alle volte confidava al suo diario che era costretto a scrivere per il suo datore di lavoro e non ne era completamente convinto. Inoltre, la critica cattolica si irrigidisce moltissimo ma lo fa già negli anni Trenta, poi invece ha delle aperture straordinarie negli anni Sessanta: alcuni critici sembrano imbracciare le armi e le bandiere della Rivoluzione con posizioni più a sinistra della sinistra in certi critici cattolici. Ma poi entra in ballo la Semiologia, lo Strutturalismo, ed ovviamente – ed è il padre di tanta critica – Benedetto Croce, poi entrerà in ballo la Sociologia e i critici cresceranno in misura costante: molto presto cominciano ad arrivare i critici stranieri contestualmente ad un parterre di divi dal ’34, i divi dall’America e dagli altri Paesi.
Dal 1934 al 1938 c’è una forte presenza di divismo americano, mentre la presenza di divismo italiano si accentua dopo Cinecittà e lo vedremo lungo gli anni di Guerra. Questo periodo consente ai divi italiani come Luisa Ferida o Alida Valli di essere presenti, così come qualche regista italiano che viene premiato e riceve appunto il premio per meriti ideologici: la Coppa Mussolini. 

qui il testo della I parte: https://www.letterazero.it/gian-piero-brunetta-su-novantanni-del-festival-del-cinema-di-venezia-i-parte/

qui il testo della II parte: https://www.letterazero.it/gian-piero-brunetta-su-novantanni-del-festival-del-cinema-di-venezia-ii-parte/