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Gian Piero Brunetta su novant’anni del Festival del Cinema di Venezia – IV e ultima parte

di Umberto Mentana

La storia del divismo continua a svilupparsi a Venezia fino a che con Chiarini si comincia a prendere le distanze da questo fenomeno, poi si faranno tutti gli scongiuri possibili con Gambetti e non si vorrà neanche sentir parlare di questo aspetto che verrà considerato deleterio, ma le presenze divistiche sono importantissime, tra divismo cinematografico e divismo politico.
Il divismo politico prende subito la scena a partire dal ‘35 con la presenza di deputati, ministri o Presidenti del Consiglio dagli anni Cinquanta in poi. In questi stessi anni vengono ospitate anche grandi personalità, come ad esempio lo Scià di Persia e, soprattutto, Winston Churchill che ha una presenza al Lido memorabile per due avvenimenti: sia perché va all’Excelsior e finge di fare il bagno rimanendo in accappatoio, sia perché entrò durante la proiezione di un film inglese (a film iniziato) con qualcuno che cercava di aiutarlo mentre faceva le scale del palazzo, e lui reagisce in modo indispettito dicendo: “Sono ancora giovane!” e, quando finalmente entra in sala, avviene qualcosa che non era mai avvenuto in tutte le edizioni precedenti poiché verrà interrotta la proiezione per applaudirlo. Ebbene, c’è quest’aria di protagonismo, c’è una “dolce vita” che comincia al Lido dal Cinquanta in poi e i lidensi incominciano ad andarvi per vedere questa sfilata di attori, di personaggi piccoli o grandi dall’Excelsior alla Mostra, quando questo però non era ancora un red carpet che verrà poi ‘inventato’ negli anni Duemila. Io ho ancora delle compagne di scuola un po’ più grandi di me o della mia età che ricordano che già a dodici anni facevano la fila per vedere Gina Lollobrigida, Sofia Loren e poi quando apparirà Brigitte Bardot…insomma, a me dispiace ancora di non essere stato alla seduta fotografica che le fecero alla spiaggia dell’Excelsior dove c’era un pubblico grandissimo e una cinquantina di fotografi. È stato allora, nel 1958, un evento importante per il divismo che circolava per il Lido.

Poi dagli anni Sessanta i divi diventano i registi, i giovani registi: da Olmi a Rosi, da Pasolini a Pontecorvo, i fratelli Taviani, Ferreri, Bellocchio; passano per il Lido tutti i grandi registi perché il cinema italiano gode di momenti in cui il Festival serve effettivamente come occasione di lancio, di conoscenza di gente all’esordio che è già da consacrare. Gli anni Sessanta sono trionfali per il cinema italiano, Rosi vince nel ‘63 con Le mani sulla città, nel ‘64 vince Antonioni con Deserto Rosso, nel ‘66 c’è La battaglia di Algeri, nel ‘65 vince Vaghe stelle dell’orsa… di Visconti, che era sempre arrivato secondo proprio per via delle giurie politicamente condizionate e riceve il Leone d’oro per uno dei suoi film meno importanti. Però, appunto, quattro Leoni d’oro di seguito sono un evento straordinario.

    Ho cercato di seguire l’andamento dei pubblici e le loro trasformazioni: dai pubblici in prima fila, tutti vestiti per i grandi eventi come se fosse uno spettacolo al Teatro La Fenice, come se fosse un grande spettacolo teatrale, ma i pubblici cambieranno nel corso del tempo. I pubblici che andranno al Festival nei primi anni Quaranta saranno dei pubblici precettati: per esempio, pubblici di marinaretti, di soldati pronti a partire per la Guerra; invece, i pubblici che più mi emozionano, a parte quelli che vanno per le prime volte sia al Giardino delle fontanelle luminose all’Excelsior (che sarà il luogo adibito per le proiezioni) sono quelli che vanno al palazzo che viene costruito nel ‘37 dall’ingegner Quagliata in pochi mesi. Oggi è impensabile questo, sia il palazzo che il casinò vengono costruiti abbattendo delle costruzioni, un forte ottocentesco, in otto mesi o dodici mesi. Poi, nell’immediato dopoguerra viene costruita l’arena, aperta a milleottocento spettatori, e lì confluirà il pubblico popolare del Lido e di Venezia. La Biennale distribuisce gratuitamente tantissimi biglietti, quindi molti vanno al Festival anche legati dal lavoro in amministrazione pubblica ma cominciano anche ad arrivare giovani interessati al Cinema, e anche questa è una grande storia che vidi cambiare. Negli anni Sessanta si aprono posti anche per studenti universitari e con Lizzani anche i professori vengono invitati. I professori sono otto quindi non ci sono grandi costi per la Mostra ma gli studenti ci andranno con i sacchi a pelo: è una cosa straordinaria per quel periodo in cui Lizzani, con Enzo Ungari, inventa le proiezioni di mezzanotte perché a quelle proiezioni dove tentano di andare tre o quattromila persone, creando situazioni da stadio.

Fin qui, sei storie. E poi c’è anche la storia d’Italia nel mondo che si mescola. Il Lido è un’isola, è vero, ma quando la campana della Storia suona ci sono momenti in cui ci si rende conto che stiamo attraversando il Sessantotto; poi il ‘74 con il Cile, il ‘77 con la “Biennale del Dissenso” e poi vari momenti con il 2005 ed il problema del terrorismo con gli stati di tensione: il Comune di Venezia e il Ministero degli Interni mobilitano forze armate proprio perché temevano atti terroristici.

E sono arrivato ai giorni nostri; negli ultimi quindici anni ho recuperato tutti i film che riuscivo a vedere, appoggiandomi moltissimo ai cataloghi, a ciò che scrivevano i direttori e consultando ciò che scriveva la stampa. Avevo la fortuna di avere tanti ritagli di giornali anche di questo periodo, non guardavo ma conservavo molte cose, avevo notevoli materiali a cui appoggiarmi. Alla fine, quando ho fatto vedere al Direttore Barbera il capitolo a lui dedicato chiedendogli se c’erano degli errori, se avevo dimenticato qualcosa di davvero importante, mi disse che non aveva trovato nulla da rivedere e quindi fui molto contento. Avevo lavorato bene, cercando di mantenere una distanza da degli eventi che erano invece per me vicinissimi. 
L’ultima cosa che vorrei dire riguarda gli archivi che ho cercato di consultare e che non ho stimato per niente per molti anni; dovunque andassi, mi dicevano: “Mah, non so neanche dove possa essere questa annata del ’36!”. Pellicole e documenti non si trovavano e, da un certo momento in poi, hanno anche passato il materiale ad altri  – un po’ hanno ragione per i film infiammabili – ma perché non convertire tutta la cineteca (fatta anche di film in copia unica firmati dal regista) che poi, andando sul mercato, prendeva strade diverse? Invece, l’Archivio della Mostra della Biennale non ha i film. Questa è una cosa che, secondo me, va reintegrata con la crescita dell’archivio. Oggi, invece, è del tutto attiva e hanno messo in rete addirittura centomila foto (https://www.labiennale.org/it/asac/collezioni/fototeca).
    Infine, negli anni Ottanta la disorganizzazione era totale, con gente ammassata e schiacciata per vedere il primo Indiana Jones. Questa disorganizzazione continuerà, prima di tutto perché vengono meno i fondi a partire dagli anni Settanta già con la gestione Carlo Ripa di Meana (1974-1978) con dei tagli da circa un miliardo nel budget di Venezia. Contemporaneamente, però, la Mostra è in crescita, quindi come si fa a gestire tutto questo? Viene data possibilità agli studenti di accedere, io cominciavo a mandare qualcuno dei miei studenti di Cinema a partire dall’ ‘80 in poi però la disorganizzazione era totale, ma niente in confronto al ‘74, ‘75 dove la cosa era molto peggio. Poi, anche con Biraghi ci sono problemi. Infatti, quando Alberto Crespi diventerà critico de L’Unità, Biraghi farà delle rubriche dedicate proprio a cosa non funziona nella Mostra di Venezia. Nei primi anni di Gambetti si era tornati quasi a zero con la critica: il primo anno chiedono solamente trenta giornalisti perché era Novembre, perché non c’era niente di interessante, e poi invece con Lizzani ci sono seicento o settecento persone che chiedono di essere accreditate per l’evento. L’ufficio è lo stesso, il personale è lo stesso e quindi le cose non funzionano e non funzioneranno neanche con Laudadio nel ‘97, ‘98. A partire dagli anni Ottanta, i giornali non mandano più solo il critico che parla dei film e che li guarda tutti, iniziano a mandare le giornaliste che fanno i pezzi ‘di colore’, i giornalisti locali riempiono i pezzi di cose che non vanno e quindi, allargando lo sguardo, si troverà in tutto più o meno alti e bassi dell’andamento del Festival. Poi, le cose comunque vanno avanti, con sempre meno soldi e il problema è anche questo; negli anni Ottanta e Novanta la Mostra viene quasi abbandonata, è la figlia minore della Biennale, occupiamocene, sì, ma molto meno rispetto ad altri settori. 

“Il cinema è entrato, fin dall’adolescenza, da protagonista nel cast delle passioni che mi hanno accompagnato e guidato nel mio romanzo di formazione di veneziano del Lido. Ma è proprio grazie al Festival, all’attrazione fatale esercitata su di me dalle sue memorabili retrospettive, o dalle possibilità di scoperte di nuovi autori e tendenze del cinema contemporaneo, regalatemi dalle edizioni dirette da Luigi Chiarini, che ho avvertito, verso la fine dei miei studi universitari, l’esigenza di diventare, a pieno titolo, un cittadino del cinematografo sul modello di Jean Renoir”.


– Gian Piero Brunetta, dall’Introduzione a
La Mostra Internazionale  d’Arte Cinematografica di Venezia 1932-2022

qui il testo della I parte: https://www.letterazero.it/gian-piero-brunetta-su-novantanni-del-festival-del-cinema-di-venezia-i-parte/

qui il testo della II parte: https://www.letterazero.it/gian-piero-brunetta-su-novantanni-del-festival-del-cinema-di-venezia-ii-parte/

qui il testo della III parte: https://www.letterazero.it/wp-admin/post.php?post=866&action=edit