In Appunti di Lettura

Inquisizioni sui Karamazov – parte II

di Demetrio Paolin

In FK, Parte Prima, Libro 2, cap. VI, leggiamo: «Perché campa uno così?». A pronunciarla è Dimitri, riferendosi al padre. Noi abbiamo già contezza di ciò che è suo padre, di ciò che hanno in ballo Dimitri e suo padre, quale sia il passato di tutti i fratelli, tutti orfani di madre, tutti abbandonati dal padre, vissuti nella privazione di ogni cosa. Perché campa uno così è la prima spia del parricidio, della morte del padre che è il centro del romanzo, da qui si irradiano come raggi che fuggono gli altri vettori della narrazione (la libertà, la liceità di agire secondo le proprie ideologie, ad esempio). Questo rapporto padre-orfano è veramente una delle profonde strutture del romanzesco: penso nell’Odissea a Telemaco che ignora la sua identità, perché non conosce il destino di vita o di morte di suo padre Ulisse; nel suo stato di orfanità presunta egli deve partire, deve lasciare Itaca per trovare notizie certe sulla morte del padre, così che possa in qualche modo essere certo di chi lui è. 

Nei FK questa struttura è sottoposta a una torsione: il padre non è morto, anzi è vivo, vegeto, sbruffone, e non ha nessuna voglia di morire. Il romanzesco sottende, però, sempre una domanda di identità che appunto possiamo riassumere nel “Io chi sono?”, ma per rispondere a questa domanda il padre deve morire, perché solo così il figlio si muove, si stacca da Itaca, inizia il suo viaggio. Alla base quindi del desiderio di parricidio, c’è un dato narrativo: senza la morte del padre non c’è romanzo. Se il romanzo è uno spazio di libertà, il protagonista deve muoversi in uno spazio di libertà, che è la tipica condizione dell’orfano – pensiamo a Tom Jones, o a Renzo dei Promessi sposi – o del non ancora nato – pensiamo al Tristam Shandy. 

Il romanzo nasce per investigare e descrivere l’uomo nel tempo e nello spazio, il romanzo pone al centro una questione identitaria, si chiede chi è chi, riflette sulla identità non avendo particolare amore per la tautologia, ma la domanda di Dostoevskij sposta il tutto rispetto a un piano teleologico, la domanda non è solo più chi sono io, ma perché io sono questo individuo che sono? Quale è la motivazione che fa sì che una persona viva? Ogni narratore si pone, quando costruisce le sue narrazioni, tali interrogativi: perché questi personaggi fanno così? Oppure, per quale motivo non possono che fare così?. 

Se guardiamo il susseguirsi di tali “perché” dal punto di vista autoriale, scopriamo una stringente logica narrativa, invece se spostiamo il nostro sguardo dall’autore al lettore, allora ognuno di essi diventa un dubbio, un abisso che si spalanca: perché questo personaggio fa così?, cosa del suo destino oscuro mi chiama e mi interroga? Perché campa? Perché io campo come lui? Quale è il motivo del nostro campare?