di Francesca Bellucci
Oppenheimer é un film sorprendente, anche per chi crede di aver interiorizzato le dinamiche illusorie, fisiche e metafisiche di Nolan.
É una biografia, pur non essendolo. Non si limita a raccontare la storia dell’inventore della bomba atomica, a tirarne su un’effigie ripulita dal peccato, come spesso avviene nelle produzioni americane, né a demonizzarne eticamente lo sviluppo. Oppenheimer è la storia di un uomo che appartiene a una specifica categoria di esseri umani, casualmente impressi nel flusso di un periodo storico ben determinato che schematizza irreversibilmente la loro vita. Non c’é etica o morale che valga la pena di essere posta in esame sul banco degli imputati, non è ciò che realmente preme a Nolan. É la rappresentazione umana in sé, il peccato di sapersi superiori, a veicolarne maggiormente gli interessi.
Oppenheimer è un film monolitico, che scopre il velo di un uomo complesso, dannato e condannato. E questa dannazione la manifesta in modo sublime, con la rappresentazione di un corpo, quello di Cillian Murphy, asciutto, inadatto a indossare qualunque divisa che non sia quella del fisico imprigionato dalla fisica stessa, solo apparentemente attratto da qualcosa che non sia dimostrare che i calcoli delle sue visioni sono la realtà quantica di un mondo troppo ottuso per andare oltre la materia concreta di un fuoco che divampa e distrugge parte dell’umanità.
É il corpo fintamente nudo posto a interrogatorio, spogliato, davanti all’amante, dei dettami morali che ha scelto di sposare e che pure mantiene nelle cosce accavallate, nella mano delicata che si poggia sul bracciolo della poltrona.
Oppenheimer é monografia e dialogo, un parlare serrato e inarrestabile, che senza i tempi fermi del punto procede accavallando le frasi, le nozioni dei fisici, le accuse dell’illegittimo processo mosso al protagonista, le risposte repentine e inarrestabili della moglie Kitty, interpretata da Emily Blunt, durante il suo ascolto dei fatti.
Il film può essere scisso in due sezioni principali: la causa e l’effetto.
Le cause della narrazione seguono la strada tracciata da due perpendicolari: la prima è la storia della fisica. Un giovane Oppenheimer che incontra nel suo percorso di vita le grandi menti del ‘900 con le quali cambierà le sorti della scienza. La seconda è la storia dei popoli mondiali. Lo schermo posto sulla parete su cui sono proiettate guerre, trattati di pace, altre guerre ancora, un incessante correre verso e contro la morte, nella convinzione di poterne controllare il flusso, di avere il diritto di credere quale sia la direzione corretta verso cui piegarla.
Quando il potere materiale dell’uomo fa appello a quello della scienza, le due rette si incontrano, segnando eternamente la Storia. Dal colloquio tra il generale Groves e Oppenheimer il film aumenta il proprio ritmo e le sequenze narrative diventano sempre più incalzanti.
La costruzione di Los Alamos, il reclutamento degli scienziati, le riunioni e i momenti di discussione sono mossi da uno spirito che agli occhi dello spettatore appare puro. La bellezza di menti che vedono oltre il monolite materico del mondo, che sono in grado di scinderlo e da quella “fissione” creare qualcosa di nuovo. É quando la ricerca raggiunge il suo scopo che la narrazione, pur procedendo inarrestabile, si frammenta in visioni e camei, attraverso i quali gli effetti di quell’atto creativo si scatenano nella loro potenza più disarmante.
Visione é l’esplosione, cameo é la fotografia del gruppo di lavoro che si appresta a vedere la sua creazione assumendo la posa di bagnanti indolenti di fronte a una luce dolorosa.
Cameo é l’invocazione da tifoseria fatta ad Oppenheimer dai suoi collaboratori, visione é la brutalità che solo gli occhi del fisico riescono a scorgere in quelle grida di gioia, pronte a consumarsi in corpi putrefatti. Creazione e distruzione, gioia e dolore.
Terminati i flashback in cui si ripercorrono gli eventi legati alla costruzione della bomba e all’esplosione del 6 agosto del ‘45, l’obiettivo cessa la sua corsa alle spalle di Oppenheimer, ma si ferma in un punto, mirando al volto del fisico e di tutti coloro che, mentre lui percorreva la sua retta, hanno lavorato al di sotto di questa. É come se a fissione fosse sottoposta anche la sua vita. Un evento precipita sulla sua storia, provocandone altri e altri ancora. Ma non c’è alcuna epicità, tutto si riduce a qualcosa di piccolo, come gli atomi, ma più infimo: la bassezza dell’uomo, il suo ego, la sua invidia, uniti al senso di colpa e al desiderio di perdono.
La storia si cala nelle mani degli uomini e sono quelle stesse mani a scegliere se rigettare il caso o farne azione irreversibile.