In Narrature

Organi

di Lorenzo Del Corso

Siamo sotto le arcate ingiallite di piazza Vettovaglie, in piedi con i drink in mano, perché la piazza è piena e non c’è posto per sedersi. Michele è appoggiato con la schiena alla colonna e guarda verso il lato opposto della piazza dove c’è la massa pressata della gente. Spera di vedere qualche suo amico, o magari sta solo guardando dei culi, non lo sappiamo. Dopo aver finito di rollarsi la cicca, Noemi ricomincia a parlare di Mau che si fa trovare sempre con i messaggi delle tipe su Tinder e Instagram e lei oggi gli ha preso il cellulare e gliel’ha buttato fuori dal finestrino e quindi ora hanno litigato e non si parlano più e forse lei lo vuole tradire per farlo incazzare e, mentre Noi le diciamo che fa bene e magari speriamo di essere Noi quello con cui lo tradisce, Michele ci dice di guardare dall’altro lato della piazza, nel marasma. Ci sono due bestioni con la testa quadra e rasata che stanno petto in fuori contro un africano col berretto di lana che vende fazzoletti. Lui urla qualcosa e loro non lo toccano, gli si stringono intorno con il mento in fuori. Allora il nero butta lo zaino pieno di fazzoletti in terra e tira un pugno nella pancia di uno dei due, l’altro però lo prende per il collo e lo tira via. Altri africani che sono nascosti nei vicoli a spacciare corrono come uno sciame di pirati saraceni e saltano addosso agli energumeni, che però sono pompati e anche se in minoranza li picchiano duro. Volano bicchieri tavoli sedie, i bangla sbattono giù le serrande e la piazza si trasforma sempre più in una gabbia, con la sua forma a chiostro di monastero, con la gente affacciata ai terrazzi a fare il tifo per l’una o l’altra parte, dalle finestre alte che spiovono sullo sgrondo della piazza si fanno dei video e le luci dei cellulari sono come dei riflettori, e si sentono degli strilli, la calca si sta attorcigliando su se stessa e vediamo gente che scappa via e altri sbronzi e drogati che si buttano nella mischia solo per fare casino, qualcuno comincia a rimbalzare sul pavé, c’è addirittura una tizia coi capelli sporchi di sangue che prende un sampietrino da terra e lo lancia nella mischia. Noi ridiamo e brindiamo a questo nuovo modello di aperitivo, molto più avvincente e partecipativo, e non sappiamo su chi puntare. Poi però la rissa si sposta sotto gli archi vicino a Noi, un uragano di braccia che scaraventa tavoli panche bottiglie persone insieme, allora ci allontaniamo e andiamo verso l’uscita, verso Borgo, da dove accorrono altri rinforzi a picchiare nella rissa. Mentre ci teniamo la pancia in mano dalle risate sentiamo degli urli bestiali, come di qualcuno che viene schiacciato, poi vediamo che uno degli energumeni ha la bocca piena di sangue e ha in mano un bastone di ferro. Dove cazzo lo ha preso? La città fornisce sempre ai suoi guerrieri motivi d’onore!

«Ragazzi usciamo, Mau mi ha mandato un vocale ma qui non sento un cazzo», e svicoliamo dietro Noemi mentre gettiamo un ultimo sguardo sullo spettacolo.

Scorriamo lentamente sotto il portico, pieno di gente, pieno di adulti intabarrati e avvolti da nubi di sigaro che escono dal teatro o dalla chiesa e dall’alto delle loro scarpe di pelle guardano in giù verso di Noi e soprattutto verso i loro figli, gli adolescenti mezzi nudi e mezze nude ubriachi e ubriache per i mix di liquori trasparenti urlare e piangere e ridere al di sopra dei subwoofer dei locali, e loro, gli adulti, se ne vanno alla spicciolata ai portoni delle loro case-torri coi soffitti affrescati oppure nei viali dove hanno lasciato le BMW per fare ritorno alle loro ville in periferia. Hanno guance lisce come intonaco e il mento alto allungato e affilato che ci puoi aprire una noce. La sera inizia e il cerchio si chiude, i ricchi se ne vanno a nanna e Noi ci prendiamo la città.

Nel frattempo Noemi e Cate sono accerchiate da un gruppo di ragazzi che ridono e sono in tiro e gli chiedono se c’è una festa da qualche parte. Una cosa tira l’altra e ci presentiamo, e insomma, ora siamo tutti insieme e andiamo a cercare una festa. Scopriamo che questi ragazzi non sono italiani, sono spagnoli, forse nemmeno tutti, e sono venuti a fare l’Erasmus e lunedì hanno tutti un esame, e Noi non sappiamo perché lo sappiamo. Sarà l’alcool che ti fa parlare e capire tutte le cose del mondo.

Il flusso intestinale delle vie del centro ci vomita sui lungarni. Lì scopriamo con un po’ di euforia che è notte, sarà passata mezzanotte nonostante la luce. Gli spagnoli come mosche li attira il neon viola di Palazzo Medici e così ci buttiamo sullo scalone monumentale di pietra serena e appena arrivati al secondo piano il locale ci accoglie con i suoi pavimenti a scacchi, e le poltrone lunghe e fosforescenti su cui sdraiarsi per bere, le imponenti finestre dell’antico salone da ballo nobiliare, sulle finestre i neon cangianti e le strobo fanno muovere gli affreschi con gli angeli e gli dei che sembrano vivi anche grazie alla vodka, vodka che ci tiene in vita. Servono un solo drink, un cocktail che si illumina al buio e fa illuminare la lingua e i denti. Questa cosa la scopriamo perché Noemi dopo aver bevuto si scambia la lingua con quella di Raoul e proprio in quel momento la chiama Mau, allora Noemi si stacca dalla bocca di Raoul e corre in strada stacchettando per lo scalone.

La musica è triste è vuota è stanca è rallentata e le luci al neon ci lasciano scimmiare come girasoli arrugginiti lungo l’autostrada e allora anche noi rotoliamo giù per lo scalone e andiamo a cercare Noemi in strada, ma non si trova più Noemi, Noemi è fuggita sparita dissolta fra i corpi sudati e mezzi nudi che scantonano pieni di euforia per il viale. Allora ci buttiamo in una radura uno spazio d’aria nel pieno della gente per decidere cosa fare come farlo dove andare e vediamo che gli

spagnoli iniziano a stare un po’ per i fatti loro, perché forse loro volevano solo Noemi che ora si è iniettata in chissà quale vicolo per chissà dove. E mentre pensiamo ai colpi dei subwoofer che ti fanno tremare le ginocchia si sente un odore strano e dolce, che non è tabacco e non è vapore aromatizzato e non è hashish né erba, non è sudore né sangue, né piscio né vomito né alcool, ci guardiamo intorno e vediamo la Municipale che ci spinge e ci dice di fare largo e allora ci passa in mezzo questa processione con la croce in cima e il prete col cappello a punta e dietro la gente armata di candele allo zampirone, e borbottano fra loro e noi capiamo che quello è Dio che passa in mezzo a Noi. Allora chiediamo a Dio come trovare Noemi: Michele si butta in un minimarket e ne schizza fuori con due confezioni di lattine rubate e noi le apriamo e andiamo a bercele davanti al Papa con la croce e chiediamo alla croce Dov’è Noemi? Dov’è? Allora la Municipale comincia a spingerci e arrivano quelli con i manganelli e le mani alla fondina per cacciarci via ma non ci toccano, non ci toccano perché nel frattempo, più in là si è creato un vortice pieno di coltelli e uno spagnolo si è dovuto prendere l’intestino in mano, tipo orologio da taschino.

E allora scappiamo, scappiamo perché ora insieme ai subwoofer e all’incenso si sentono le sirene e gli urli e se facciamo attenzione si sente anche il rumore di ossa che si schiacciano, di nocche che si attaccano a zigomi, incollate con il sangue. Fuggiamo sui nostri motorini, li abbiamo usati per scappare dai professori a quattordici anni e li usiamo ancora dopo quattordici anni, via dalle sirene e dal marasma, via da Noemi e da quelle come lei che è tornata sulla lingua della città per farsi masticare digerire ancora e ancora come un corpo estraneo, e la strada che oscilla e rotea e sopra e sotto palazzi e finestre cave come occhi di un cadavere mangiati dagli insetti, e quegli insetti siamo Noi, Noi che di questa discarica millenaria siamo le feci e siamo il sangue, noi che la rendiamo viva mentre la uccidiamo.